Il Generale Avitabile

 

Da ufficiale murattiano a viceré delle Indie

e la magnanimità di Ferdinando II

 

 

Paolo Avitabile, agerolese di nascita, divenne giovane ufficiale di artiglieria durante l’usurpazione di Murat, ammaliato dal suo spirito di guerra e d’avventura. Alla Restaurazione fu integrato nell’esercito delle Due Sicilie che notoriamente era scevro da quei violenti ideali. Per tale ragione decise di tentare la sorte all’estero congedandosi dai suoi commilitoni nel 1817. Prima progettò di recarsi negli USA, poi nei paesi arabi ed infine in Persia. Lì ottenne un ingaggio importante grazie al suo passato di ufficiale napoleonico, ovunque garanzia di guerrafondaio. I rovesci militari iraniani, scontratisi velleitariamente con la Russia, lo convinsero a tornare in patria nel 1824 con una discreta fama che gli consentì di essere ricevuto e onorato da Re Francesco I. Ma la voglia della vita spericolata lo avvinse di nuovo e nel 1825 decise di raggiungere le lontane Indie Orientali, aiutato dalla cricca di mercenari di stampo napoleonico che frequentava. Nella terra dei Sikh toccò le più alte soddisfazioni morali e materiali divenendo prima generale, poi  governatore ed infine viceré.  Quando il Punjab cadde sotto l’influenza inglese, ebbe forti rapporti con i soldati britannici  combattendo al loro fianco nella conquista dell’Afghanistan e trasferendo a Londra le ingenti ricchezze accumulate. Le mutate condizioni locali lo costrinsero nel 1844 al ritorno a casa. Iniziò una stagione di encomi e ricevimenti a corte a partire dal suo sovrano Ferdinando II, a quello francese Luigi Filippo e al Premier britannico Palmerston.

Poi si ritirò nella sua Agerola facendosi erigere un sontuoso palazzo, un vero e proprio castello,  dove misteriosamente venne avvelenato nel 1850.

Da ricordare un suo speciale omaggio a re Ferdinando consistente in due schiavetti di colore  portati dalle Indie. L’accoglienza ai due ragazzini del sovrano borbonico e della regina Maria Teresa è degna di essere raccontata. Dopo averli dichiarati “liberi” i reali li considerarono come loro figli “neri”, facendoli battezzare con i nomi della casata, Ferdinando e Francesco, e garantendo loro istruzione e rendita vitalizia a carico della corona. I due saranno sempre memori e riconoscenti ai Borbone perché seguiranno Francesco II a Capua,  Gaeta e  Roma, sempre benedicendo i benefici benignamente ricevuti.

Vincenzo Gulì