Giorgio se ne vò jì e ‘o vescovo n’ ‘o vò caccià.

 

Dice una nenia che gli Ultra’ del Napoli propongono costantemente al San Paolo “In un mondo che non ci vuole più, canterò di più, canterò di più“. Ciò evidentemente per tutelare il loro diritto ad essere tifosi particolari di una squadra particolare come quella azzurra in un periodo in cui si è trasformato il calcio solo in un business che sembra non aver più bisogno degli spettatori tradizionali sugli spalti. Premettiamo che non possiamo condividere gli errori, talvolta i reati, che questi gruppi organizzati hanno commesso ma ci vogliamo riferire alla loro intima essenza da cui trapela una napolitanità assai profonda. Ciò per quanto concerne il loro amore per Napoli (che a gran voce proclamano essere “la loro unica fede“) e le infinite dimostrazioni di attaccamento a molti di quei valori tradizionali che gli intellettuali locali hanno disperso allegramente e boriosamente da tempo. Del resto è un fatto storico dalle nostre parti l’abisso tra lazzari e giacobini, tra popolani e “setille“, tra plebe e borghesia colta e arricchita.

Quel canto monotono, iterato sino al tedio, rappresenta il loro modo di voler continuare ad essere tali che noi apprezziamo nei limiti prima spiegati.

Ora che è sotto gli occhi di tutti il massacro dei mass media di questi Ultrà per la finale di Coppa Italia, vogliamo spezzare una lancia a loro favore con alcune puntualizzazioni. Innanzi tutto la vera e propria trappola mediatica di esibire al mondo intero il capitano Hamsik che si reca nella curva napoletana per risolvere l’impasse, dopo quasi un’ora di inspiegabile ritardo nell’inizio della partita a causa dei noti fatti di sangue pomeridiani. Molto altro si poteva fare in quell’ora e nessun altro significato si poteva trarre da quella “visita” se non la sottomissione di calciatori e istituzioni alla tifoseria “camorristica“. Ecco la trappola che ha fatto rimbalzare in Italia e all’estero questa faccia della partita, oscurando quasi del tutto la splendida vittoria azzurra. Poi la ferina violenza del romanista che ha scaricato la sua pistola proditoriamente su pacifici tifosi partenopei, quasi ammazzandone uno. Solo l’odio cieco, quindi pregiudiziale e generico,  verso Napoli può fornire una spiegazione al riguardo. E che dire ancora dei ripetuti cori razzistici dei fiorentini contro i napoletani? E della parola “vergogna” ripetuta sino alla noia da tutti i commentatori delle maggiori Tv per quanto riguarda la marea di fischi che ha sommerso l’esecuzione cantata nell’inno di Mameli? Anche qui si è sorvolato sia sul fatto politico della partecipazioni di molti sostenitori viola, sia sulla constatazione che da vari incontri di Coppa Italia i Napoletani (come pure i Palermitani)  avevano sistematicamente fischiato quell’inno per ragioni ormai immanenti. E’ rimasta esclusivamente la vergogna per gli Ultrà di aver insultato quello che dovrebbe tenere unita la nazione tricolore. Ed infine, altre notizie su dileggi dopo la premiazione contro i supporter viola;  su scaramucce varie fuori dell’Olimpico; su danni procurati nelle aree di servizio autostradali. Come se tutto ciò non avvenisse inesorabilmente in ogni trasferta di ogni grossa tifoseria, segnatamente di ben note squadre del nord.

E’ un’Italia che non ci ha mai amato e che non ci vuole più. Non vuole più che andiamo a seguire la squadra del cuore,  non vuole più che difendiamo la nostra terra e il nostro decoro, non vuole più che dimostriamo che negli Ultrà e oltre di Ultrà c’è di molto meglio e di più .

Torniamo alla nenia iniziale. Perché non trasformarla in: “Nell’Italia che, non ci vuole più, non staremo più, non staremo più“?

Quest’Italia ha dato continue prove di detestarci e pur ci sfrutta da 153 anni; noi che siamo i colonizzati, ormai allo stremo della sopportazione, perché non meditiamo profondamente sul da farsi per togliere in qualche modo il disturbo?

E non lasciamoci intenerire o irretire dalle chimere dell’indignazione atta a piatire l’addolcimento mediatico, anche della stessa stampa locale. Ormai quello che è successo è solamente l’ultimo episodio di una lunghissima serie che  scaturisce addirittura dalle menzogne risorgimentali. Non c’è quindi alcuna speranza di cambiare le cose, se non prendere noi in mano  le nostre situazioni e far giocare la prossima Coppa Italia ai tosco-padani tra di loro con tanto di tifoserie corrette e fedina penale immacolata (se ce ne sono), fiori multicolori da scambiarsi prima dell’incontro (magari con i coltelli nascosti), canto a squarcia gola dell’inno mamelico (non solo circoscritto a bambini ignari della politica e della storia) e applausi finali a vincitori e vinti (come non avviene normalmente in nessuna parte del mondo). L’importante è che non vi siano più i terribili Ultrà partenopei, la camorra che li guida, la maggioranza che li appoggia . Già perché tutti costoro staranno magari a comportarsi da  veri fratelli, di sangue e di avventura, in qualche città, già nel Mezzogiorno d’Italia, per disputarsi una Coppa magari delle Due Sicilie finalmente senza condizionamenti mediatici e arbitrali…

V.G.