Dagli storici locali ai “genialoni”
Nelle mie trentennali peregrinazioni per l’attuale Bassa Italia mi sono sovente imbattuto in un personaggio endemico soprattutto nei centri medio – piccoli: lo storico locale. Costui, se da un lato è encomiabile per l’amore alla sua terra d’origine per cui ha profuso tempo e sacrifici di ogni genere al fine di studiarla e rendere fruibili i suoi risultati, dall’altro presenta quasi sempre un grave difetto capace di rovinare il tutto costituito dall’orizzonte limitato della sua attività. Questa carenza è comune a tutte le microstorie che non riescono ad inserirsi nel quadro generale lasciando autori e lettori in una confusa incertezza che inibisce il raggiungimento delle necessarie mete evolutive. Ad esempio, in un paese abruzzese o calabrese uno storico locale documenta le condizioni ideali dei suoi avi un paio di secoli fa in relazione a numero superiore di abitanti, esistenza di floride attività economiche, assoluta mancanza di emigrazione anche verso le città vicine, ma non arriva a riconoscere le cause che risiedono nella malaunità del 1861. In tal modo parlare bene del passato di quel posto si riduce a mera nostalgia e puro esercizio culturale senza impartire lezioni, come sempre la storia deve fare, ai contemporanei per migliorare il proprio futuro.
Nella materia che ho insegnato ancora per più tempo, l’economia, accade qualcosa di simile. Qui si tratta di microeconomia quando si analizzano fenomeni entro confini troppo angusti da cui si ha spesso la presunzione di trarre conclusioni generali che diventano irreparabilmente generiche e inconcludenti. Esempio clamoroso può essere la critica ai parlamentari che guadagnano troppo quando le condizioni dei cittadini sono precarie (come ai nostri giorni). Questo può essere accettato come discorso etico o politico ma giammai come economico. Infatti, anche azzerando i lauti compensi di queste centinaia di pubblici funzionari che cosa otterrebbe la popolazione indigente? Ripartendo quei corrispettivi per gli abitanti non si giungerebbe nemmeno a dieci centesimi mensili per ognuno…
Tutto ciò per introdurre un altro personaggio endemico tra quelli che cavalcano l’onda della contestazione: il genialone. Naturalmente questo termine non è usato ma si vuole riferire a chi crede di aver trovato la panacea di tutti i mali dall’alto della sua popolarità o autorevolezza (lascio alla sensibilità di chi legge riflettere sul modo in cui si diventa popolare o autorevole nel mondo odierno schiavo della dittatura mediatica).
Sentiamo ogni tanto parlare della possibilità di superare la terribile mancanza di occupazione nell’attuale meridione con un colpo d’ingegno frutto delle estreme difficoltà che affliggono soprattutto i giovani. Si cita l’esempio di Tizio pugliese o di Caio lucano che hanno aperto un’attività redditizia, o ancora la società campana Sempronio che da anni produce e dà lavoro nel mercato globale. Dettagli ridondanti ed entusiasmanti ma nulla in sostanza riguardo alle vere cause del sottosviluppo meridionale. Proprio come quello storico locale. La politica economica contro gli ex territori delle Due Sicilie dura esattamente da 156 anni senza soluzione di continuità da Cavour a Gentiloni. Essa è rivolta direttamente al depauperamento del Mezzogiorno, eseguita in maniera lucidamente sistematica e perfidamente ipocrita per il palleggiamento di responsabilità. Al suo interno consente alcune anomalie, quasi sempre temporanee, che talvolta sono controllate eccezioni usate come specchietto per le allodole dedicato giusto ai genialoni (se in buona fede). La storia economica delle nostre terre ha ampiamente dimostrato (a chi l’ha studiata e compresa) che l’ecatombe ininterrotta di imprese meridionali ha avuto cause politiche non economiche, grazie alla sinergia letale tra potere istituzionale e malavita organizzata ad hoc. Quindi non è nelle geniali trovate in campo economico che si può trovare la soluzione perché sono le direttive governative a garantire l’avanzamento costante della famosa invenzione della questione meridionale. In altri termini, se Tizio, Caio e Sempronio rimarranno tre imprese con le rispettive anguste nicchie di mercato il potere sinergico potrà anche lasciar correre. Ma quando Mevio, Filano e Calpurnio vorranno, come ideato dai genialoni, aggiungersi in modo da cambiare veramente la sorte del Sud troveranno ineluttabilmente le stesse trappole che da Pietrarsa in poi hanno annichilito la produzione meridionale, un tempo all’avanguardia nel mondo.
Come lo storico locale è riverito nel suo paese pur non contribuendo affatto al suo sviluppo, così il genialone è oggetto di ammirazione e speranza da parte di tanti illusi. Grazie alla notorietà conseguita in questa società travagliata viene additato come salvatore della sua terra. Senza allargare l’orizzonte per percepire la realtà in cui essa realmente si trova nella totale colonizzazione. Senza preoccuparsi di incanalare energie e risorse che non le saranno utili in alcun modo sensibile. Senza incontrare veri ostacoli del sistema a cui sembra non funzionale…
Vincenzo Gulì