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PREMESSA

 

        Dalla storia antica a quella moderna nasce quella di Napoli e della Sicilia con i rispettivi popoli che si sono gradualmente formati dall’unione dei nativi con i tanti immigrati per amore o per forza nel corso dei secoli. Più nitida quella siciliana a causa della conformazione geografica, più “napolicentrica” l’altra a partire dal XIII secolo.

        Ragioni politiche, conseguenti all’unificazione del regno sotto i Normanni, hanno spostato decisamente verso la Sicilia il maggior interesse statale dando l’aggettivo relativo all’isola a tutto il territorio con capitale Palermo, giustamente prima sedes  corona regis et regni caput. Naturalmente i popoli sudditi (in senso positivo!) hanno mantenuto le loro caratteristiche come in tutti i grandi paesi dell’epoca di natura non continentale. Infatti quello che comunemente viene inteso in Sicilia come “continente” significa soltanto non isola ed è un termine generico che può creare confusione. Recentissimi studi stanno dimostrando che nelle penisole e negli istmi c’è sempre una varietà di popoli che solo manu militari è possibile unificare a meno che non si instauri una convivenza libera e pacifica a causa di forti interessi comuni, capace di rispettare le diversità a cominciare dalle tradizioni.

        L’unione tra territori prettamente continentali, come la Russia e la Germania, è pertanto abbastanza semplice e duraturo mentre quello tra territori non continentali (peninsulari ed isolani) è sempre assai delicato e precario. In quest’ultimo caso basti pensare alla penisola balcanica, violentemente unita sotto la Jugoslavia, o all’arcipelago britannico con i problemi irrisolti tra irlandesi, scozzesi, gallesi e inglesi.

        I più grossi e insanabili guai accadono quando uno stato continentale decide di “unirsi” con uno non continentale. L’unione non sarà mai possibile anche dopo secoli di dittatura perché i popoli sono naturalmente diversi e non integrabili. Solo la scomparsa di un popolo può placare l’immedicabile ferita e fornire l’illusione dell’unità. I genocidi dei popoli pellerossa in America danno un’idea di come si costruisce una nazione artificialmente.

        Da noi c’è purtroppo il terribile esempio della malaunità realizzata dal continentale Piemonte mandato ad incorporare con la massima violenza il regno delle Due Sicilie, peninsulare e insulare. Dopo 154 anni l’unità è solo una chimera e la soluzione perseguita con accanimento e perfidia è quella adottata in America e che non è qui il caso di approfondire.

        Tornando alla difficile unione tra territori non continentali bisogna considerare che essa può costruirsi in maniera ottimale quando si verificano una serie di circostanze. Innanzitutto la presenza di molti più punti in comune rispetto a quelli di divergenza perché è già presente la cosiddetta nazione culturale. Ciò si realizza quando l’etnia dei vari autoctoni è così forte da trasformare gli estranei immigrati attestandoli su livelli di civiltà simili che gradualmente riducono il divario tra le popolazioni peninsulari o insulari. Poi è indispensabile una forma di governo assai oculata che costantemente attenui i contrasti ed esalti le mete comuni. Infine bisogna suscitare nei diversi popoli il fascino per l’unità anche politica, facendo prospettare loro i reciproci vantaggi economici, sociali, internazionali.

        Un’unità di questo tipo assomiglia a quella spacciata per “democratica” (e mai realizzata) dai colonialisti di ogni epoca) perché scaturisce dal cuore di ogni popolo. La stabilità e il benessere della società che si forma è la logica conseguenza di questo felice connubio.

DA SICILIANI A NAPOLITANI

 

        Nella prima parte di questo meraviglioso regno fondato a Palermo il nome di Sicilia copre anche la penisola (impropriamente detta continente) sino agli Abruzzi e a Gaeta e, di conseguenza, anche i suoi abitanti sono detti ufficialmente siciliani. Con la rottura tra Angioini e Aragonesi e la pace di Caltabellotta (1302) c’è continuità, anche frutto di rivendicazione, con il Regno di Sicilia che viene definito Citeriore nella penisola con capitale Napoli e Ulteriore nell’isola con capitale Palermo. Man mano l’attrazione irresistibile di Napoli fa svanire la parola Regno di Sicilia Citeriore sostituendola con Regno di Napoli e gli abitanti diventano Napolitani (rigorosamente con la “i “centrale). Naturalmente convivono entrambe le definizioni anche nelle comunicazioni formali. Mentre nell’isola, si ribadisce, l’omogeneità è marcata nei siciliani, nella penisola con maggior impegno nasce il popolo dei napolitani, rendendo evanescenti altri nomi come i pugliesi (in qualche periodo addirittura costituenti un regno) o i calabresi (dal cui territorio era per la prima volta sorto il nome Italia). Con Alfonso d’Aragona c’è la ricongiunzione ufficiale della Sicilia Ultra e di quella Citra, ormai più nota come Regno di Napoli. Costui è rex utriusque Siciliae rimanendo fedele alla originaria denominazione e sancendo che la sua corona valeva per entrambe le Sicilie, cioè quelle che conosciamo come le Due Sicilie. Agli attributi citra e ultra per ogni Sicilia antecedente, nasce così la parola Due Sicilie. Palermo rimase capitale dell’isola abbastanza autonoma mentre Napoli era capitale della penisola ma anche la sede del sovrano e quindi il centro di questo duplice trono. Indubbiamente la Sicilia Ultra era abitata dai Siciliani, quella Citra, detta sempre più regno di Napoli, ospitava i Napolitani. Da porre in rilievo che quasi mai si parlava di nazione ma sempre di regno (non reame come l’hanno definito spregiativamente i traditori) perché è soprattutto nell’ideologia rivoluzionaria che si esalta questo concetto opponendolo proprio al regime monarchico e travisando un’ altra idea allettante (belle parole e brutti fatti come insegnano i giacobini) quale democrazia. Per distruggere le monarchie antirivoluzionarie, perché legate al popolo e a fatica sopportate dall’aristocrazia e dalla borghesia spregiudicate , si illudono gli abitanti (già astutamente definiti cittadini e non più sudditi ma con uno status obiettivamente degradato) di detenere il potere democraticamente quando già un’élite lo ha preso fermamente in mano con il monopolio dell’informazione. Attenti quindi a non cadere nelle trappole neo giacobine quando si comincia una battaglia campale proprio contro i loro creatori! Solo en passant si rammenta che le varie bandiere al posto di quelle tradizionali sono un effetto della modifica intellettuale operata dagli aguzzini di Napoli e Sicilia.

 

LE DUE SICILIE

 

        La storia contemporanea nei suoi annali talvolta parla ancora di siciliani citra per gli abitanti della penisola ma l’accezione prevalente è quella di napolitani per tutti i regnicoli dal Tronto al Salento, da Gaeta a Reggio. Due popoli ormai per due regni sotto un unico sovrano come addirittura sognano i Francesi invasori del decennio che si proclamano Re di Napoli e Sicilia, dove si era invece arroccato il legittimo re Borbone. Al Congresso di Vienna (1815) Ferdinando di Borbone è riconosciuto Re del Regno delle Due Sicilie come stato unitario. Egli perde il titolo di Ferdinando III a Palermo e quello di Ferdinando IV a Napoli per divenire Ferdinando I sul neonato trono duosiciliano di Napoli per governare i popoli siciliano e napolitano. Nessuno sintetizzò il concetto parlando di popolo duosiciliano, qualcuno continuò a usare il termine siciliano anche sul territorio peninsulare, esiste anche qualche caso in cui si adopera addirittura napolitano per un residente nell’isola. La larga autonomia che conservò la Sicilia protesse fortemente le peculiarità del popolo siciliano unito da Ferdinando I a quello napolitano.

        La catastrofe risorgimentale (apparente aporia!) fa scomparire il Regno delle Due Sicilie massacrando ed affamando i napolitani e i siciliani e costringendoli ad un esodo mai nemmeno abbozzato nei millenni precedenti. Indi la matrigna Italia prosegue la sua nefasta opera distruttiva verso i due popoli senza mai fermarsi fino alla quasi totale perdita della memoria collettiva. Un effetto sconvolgente di questa spaventosa disgregazione è la sparizione del popolo napolitano. Si comincia con l’imporre l’aggettivo napoletano, pure sporadicamente usato nelle Due Sicilie, al posto di napolitano in maniera da rompere quell’armonia faticosamente conseguita con i Borbone tra gli abitanti peninsulari. Napoletano diventa l’abitante della spodestata capitale mentre spuntano i Campani, gli Abruzzesi, i Lucani, i Calabresi, i Pugliesi, i Molisani e molti diventano perfino Laziali. Si fomenta un campanilismo di tipo sportivo anche tra costoro per un’ulteriore frammentazione che non risparmia nemmeno la Sicilia. La poca simpatia tra Bari e Lecce, tra Salerno e Napoli, tra Catania e Palermo ne sono esempi probanti.

I MERIDIONALI

 

        Dopo 154 anni di malaunità gli abitanti al di sotto del Tronto e del Garigliano sono appellati meridionali. Ovviamente è una parola che evidenzia la sottomissione ai tosco-padani e che troppi che si illudevano di difendere la propria terra hanno recepito coniando il comodo e pertanto inefficace termine di meridionalismo. E’ necessario partire dal rigetto totale delle accezioni connesse al Meridione per trovare la via d’uscita dal lercio labirinto tricolorato.

        I Siciliani oggi sono persone solo formalmente appartenenti a un popolo, avendo negato parte fondamentale delle loro radici, come dimostrano quelli che sono fieri di essere italiani del sud, i tanti che inseguono per vicoli ciechi la chimera dell’indipendenza facendo un’acerrima concorrenza tra i numerosissimi gruppi e quella frangia che accomuna tra i poco affidabili sia i “continentali” meridionali sia gli altri italiani, senza neppure un fremito di reminiscenza storica nei confronti di quelli che erano i fratelli napolitani.

        I Napolitani d’un tempo, ripetiamo, non esistono più nemmeno formalmente. Molti abruzzesi e dell’ex Terra di Lavoro si sentono centro-italiani e sono più quelli che ostentano le differenze con i Napoletani che quelli che li vedono con la simpatia che dovrebbe trasudare dall’archetipo di quasi otto secoli di stretta fratellanza.

        Negli ultimi tempi la revisione storica sta facendo riemergere un passato identitario bandito più che dimenticato. Riallacciare i legami di sangue e di civiltà tra gli ex popoli delle Due Sicilie è assai arduo. In Sicilia bisogna superare la divisione, che molte forze occulte alimentano perennemente, tra quelli che rivendicano l’orgoglio popolare. Nella penisola occorre ridestare i Napolitani cominciando da capo e quindi con difficoltà enormi. Precedentemente asserimmo che solo ridiventano napolitani gli odierni abitanti della penisola detti meridionali possono compiere il passo decisivo per riscattarsi. Aggiungemmo altresì che ciò potrebbe operare il prodigio anche in Sicilia risvegliando l’antica fierezza con la riscoperta delle Due Sicilie, non necessariamente come stato unitario. Il sogno era di arrivare alla presa di coscienza dei Duosiciliani in pieno XXI secolo.

        E’ un dato storico che il popolo napolitano e quello siciliano hanno toccato i vertici in campo socio-economico proprio dopo la loro unione con Ferdinando I, poi con Francesco I e con Ferdinando II, ossia sotto la denominazione Regno delle Due Sicilie. Le risorse citrafaro e ultrafaro, una volta integrate, hanno sprigionato una potenza soprattutto economica di spessore internazionale, tale da atterrire l’invidiosa e ambiziosa Inghilterra che conduceva la colonizzazione economica mondiale per conto della Massoneria. Troppi esempi suffragano tale assunto, dal benessere che si andava diffondendo in tutte le 22 province del paese ai primati che fioccavano su ambo i lati dello stretto, dai siciliani che rinunciavano all’esonero dalla leva al superamento dell’astio per la perdita della sede reale ogni volta che il sovrano si recava nell’isola. Siciliani e Napolitani stavano per compiere il grande passo per divenire nazione culturale e sfidare chiunque in tutti i settori. Questo lo avevano intuito perfettamente i perfidi e scaltri futuri dominatori del mondo. Già nel 1821 e nel 1848 avevano pesantemente scosso l’isola per separarla da Napoli fallendo nel risultato immediato ma seminando veleni che avrebbero prodotto successivamente sfaceli letali. Riaprendo ad una ad una le rimarginate ferite naturalmente inferte prima per far diventare gli abitanti della Sicilia un popolo e poi per accoppiarli ai Napolitani, la cricca tosco-padana, autoproclamatasi Italia rubando alla sua colonia più a sud anche il nome, affonda senza tregua gli strumenti per riconvertire i suoi “meridionali dell’isola”. In tal modo alimenta lo spirito autonomista /indipendentista con false promesse (come per il mai applicato Statuto Speciale) o con controllate insurrezioni (come la rivolta dei Fasci di fine Ottocento). Ed ancora allontana in tutti i modi possibili l’isola dal “continente” come la politica dei trasporti, i travisamenti della storia preunitaria nei confronti di Napoli, la costituzione di vere e proprie città nelle città abitate da siciliani oltre il Garigliano, come Roma, Milano e Torino. D’altro canto colpisce senza pietà tutto ciò che può far uscire l’isola dalla questione meridionale in cui l’ha abilmente incastrata nel 1861. Mafia, politicanti proni al potere nordista, direttive europee sono costantemente utilizzati a tale scellerato fine.

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LA BANDIERA DEL RISCATTO

 

        L’ineludibile e urgente riscatto abbisogna di un vero e proprio prodigio per ridestare gli odierni meridionali dal coma profondo in cui li ha indotti l’Italia per la loro eliminazione finale. I veleni culturali iniettati dal mass media in oltre un secolo e mezzo cospargono la strada della rinascita di ostacoli tanto più insormontabili quanto più inavvertiti. Inoltre, il potere si difende con gli strumenti subdoli già adoperati nell’Ottocento. Una schiera di traditori, filo massoni o prezzolati, è affiancata con la massima ipocrisia a quelli che rivendicano. Oggi ti appoggiano e ti fanno progredire, domani frenano e ti fanno arenare; prima alimentano la tua voglia di libertà e poi cercano di istradarla in un vicolo cieco. Con Hannibal ad portas si corre il rischio fortissimo di perdersi in chiacchiere e polemiche utili solo ai colonizzatori. Ciò si verifica con una puntualità angosciante ma, per chi ha chiaro il quadro, più si moltiplicano queste difese tricolori più si deve sentire il profumo della libertà. In altre parole, le difficoltà che ci astringono sono sintomo dell’efficienza e della pericolosità della causa.

        La ricetta per uscire da ogni impasse è + AZIONE – DISCUSSIONE. Cominciamo con “il dare un colore a questa guerra” come dice una canzone brigantesca. La bandiera del Regno delle Due Sicilie, ultima ad essere ammainata in queste terre indipendenti il 20 marzo 1861 a Civitella del Tronto, e ostentata per anni dal popolo durante la sua insurrezione detta brigantaggio, è ormai universalmente riconosciuta come l’unica idonea a rappresentarlo ancor oggi. Ciò da oltre vent’anni e con grandissima preoccupazione degli amanti del tricolore. Chi nutre ancora qualche perplessità vuol dire che sta inciampando su uno degli ostacoli predisposti dai colonizzatori e sta recitando integralmente le istruzioni del bugiardino allegato…

        Quando i popoli siciliani e napolitani si resero conto che avevano perso uno stato, visti morire i fratelli, saccheggiare e devastare il territorio più bello del mondo, si scatenarono come briganti per l’ultima battaglia, quella più romantica e sanguinosa, quella da cui si sarebbe usciti vittoriosi o orgogliosi per aver osato ogni cosa.

        Oggi quel che resta di quei popoli non è molto consistente, come spiegato innanzi, e quindi appare giustificato utilizzare un termine anch’esso abbastanza inconsistente come duosiciliani. Le strategie politiche connoterebbero una lotta di liberazione in nome dei siciliani come un deja vu e quindi svuotata delle cariche più micidiali; parimenti in nome dei napolitani sembrerebbe una arrogante supremazia dell’ex capitale sui territori ex ultrafaro; discutere invece di duosiciliani sarebbe ben differente. Innanzitutto la novità del nome, capace di evocare una curiosità infinita. Poi l’ammissione esplicita che è maturo il tempo per marciare assieme contro il più grande nemico che queste terre hanno mai patito. Come detto altrove, 154 anni di colonizzazione selvaggia hanno prodotto quella saldatura conclusiva tra i popoli intorno allo Stretto. Oggi sono immensamente più numerose le affinità che le diseguaglianze tra di noi. Né Napoli deve imporre la sua egemonia sulla Sicilia, né la Sicilia deve continuare ad illudersi di poter fare a meno di Napoli. Contro l’ultimo massacro delle Due Sicilie devono tornare i briganti non con le modalità ma con lo spirito di allora!

        La strada è tracciata e caratterizzata anche se è indubbiamente assai ardua. La colpa sta in quegli ostacoli posti a tempo debito dagli invasori di ieri e di oggi. Sono intralci culturali non etnici, storici, politici. Quindi dalla rinnovata cultura deve venire l’aiuto decisivo. La nostra cultura comune è fatta soprattutto dalla storia occultata dal 1861 ad oggi perché è quella componente di cui siamo particolarmente carenti. E’ lì che bisogna rafforzarsi senza remore né velleità divergenti.

        Nella reggia di Caserta sono raffigurati in bella mostra gli emblemi di Napoli e Sicilia a rappresentare i due popoli che i Borbone tanto sapientemente governavano. La bandiera era unica, li riproduceva entrambi perché le Due Sicilie potevano essere una realtà politica allora ma attualmente devono diventare il punto di riferimento di tutti quelli che per comodità e sguardo al futuro si possono definire Duosiciliani. Dire napolitano a un siciliano vuol dire sentirlo estraneo e inimicarselo; dire napolitano al di fuori di Napoli a un meridionale cosiddetto continentale vuol dire proporgli l’inaccettabile egemonia di una città spesso invisa. Ma dire duosiciliano ma un siciliano significa scuoterlo sull’esigenza che con i fratelli oltre lo Stretto si può vincere; dire duosiciliano a un meridionale cosiddetto continentale significa spostare l’attenzione da Napoli verso un passato da scoprire ma foriero di successo. Ciò naturalmente nella stragrande maggioranza dei casi e quindi non fanno peso le eccezioni. Le strategie non devono essere confuse con la storia (passata o rivisitata) né con la politica (con o senza risorse) e tanto meno con la propaganda (più o meno interessata). Più ci si libererà di queste pastoie è più nitido si avrà il panorama per agire. Chi ha capito seguirà questa lotta titanica, gli altri andranno per altre vie, ritenute stolidamente parallele o alternative, ma la cui scelta dipende unicamente dalla riconversione culturale non completata.

        Quanto affermato prima non vuol dire la riproposizione di uno stato monarchico ma il rigetto degli stati post-rivoluzionari. La repubblica anticamente era qualcosa di nobile come la monarchia. Era il tempo in cui le parole avevano il loro significato autentico e non quello rovesciato e tendenzioso voluto dagli illuminati del Settecento. Chi sta pensando che i famosi diritti dell’uomo siano un’evoluzione sociale deve ancora riflettere ed imparare molto. Pertanto qualsiasi tipo di stato si agogni, bisogna rifarsi ai suoi valori pre-rivoluzionari altrimenti non avverrà alcun progresso.

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SINTESI FINALE

       

        Dopo questa lunga ma necessaria analisi è opportuno sintetizzare conclusioni e definizioni fondamentali per evitare equivoci dovuti a parziale o precipitosa lettura, probabili per la difficoltà di seguire il filo del ragionamento.

  • Il nostro regno nacque come regno di Sicilia (capitale Palermo)
  • Si differenziò poi in Sicilia citra (capitale Napoli) ed ultra (capitale Palermo)
  • La Sicilia citra divenne regno di Napoli
  • In seguito sempre due regni con due capitali (compresenza delle varie denominazioni per abitudine e per rivendicazione)
  • Con Ferdinando I di Borbone il regno è giuridicamente unificato con Napoli capitale e la Sicilia con larga autonomia
  • Dal 1861 province di uno stato straniero ed estraneo (continentale)
  • Sotto l’Italia fusione nei patimenti dei popoli meridionali
  • Nel XXI sec. minaccia italiana ed europea di estinzione dei popoli meridionali e obbligo alla legittima difesa
  • L’ultima bandiera di uno stato indipendente è sventolata dai briganti
  • La prima bandiera della riscossa sarà la stessa con i nuovi briganti
  • Ogni individualismo va sacrificato per questa Causa
  • Ogni comportamento gradito a coloro che vogliono imporre il nuovo ordine al mondo (neo giacobini, massoni, finanzieri) deve essere scoperto e ripudiato
  • Le differenza tra i meridionali (se in buona fede) risiedono nel diverso grado di tolleranza all’allergia tricolorata (cultura intesa come approfondimento delle lacune non come livello di istruzione!)

Napoli, 1˚agosto 2015 A.D. CLIV A.O.

S.Alfonso Maria de’Liguori

santo napolitano contro-rivoluzionario

Vincenzo Gulì