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ORIENTATION IN PROGRESS

 

Ci auguriamo seriamente che nel calcio Napoli oltre che Work in Progress vi sia un Orientation in Progress. Dall’avvento di De Laurentiis la squadra azzurra è obiettivamente migliorata gradualmente ritornando in A dalla serie semiprofessionistica e posizionandosi stabilmente al vertice della classifica e quindi nelle competizioni europee. Però, negli ultimissimi anni, siamo di fronte ad una certa impasse perché, mentre è abbastanza agevole abbandonare i livelli più bassi, le difficoltà si moltiplicano per prevalere in quelli superiori. Ripetutamente si è persa la possibilità di lottare per il titolo italiano e si è usciti prematuramente dalle coppe continentali.

E’ venuto il tempo di far luce sui veri obiettivi di questa proprietà. Sembra evidente che si punta al bilancio in attivo, con puntuali utili annuali, e a una condotta gestionale in linea con il fair play finanziario meta dichiarata dall’UEFA e dalla FIFA. Ma, analizzando i conti della stragrande maggioranza delle squadre che sono le leader dei vari tornei, si evince che attualmente non è per quella ottimale strada che si perviene al successo. Dalla Juventus in Italia alle big d’Europa le spese gestionali non sono limitate dalle risorse caratteristiche ma, sovente, le tracimano senza alcun ritegno o grave conseguenza anche giuridico-amministrativa. In altre parole, il famoso fair play finanziario appare come un orizzonte da raggiungere in un futuro diverso e lontano per tutti. Ciò si collega naturalmente ai top player con i relativi ingaggi multimilionari che raramente portano all’automatica copertura con i ricavi periodici. Tecnicamente nessuna compagine vince senza quei campioni; al massimo eccezionalmente lo può fare ma senza alcuna possibilità di ripetersi. 

Sceverando le parole dai fatti, non comprendiamo allora i proclami di DLA che parla di un Napoli destinato ad essere una delle prime d’Europa e a VINCERE, VINCERE, VINCERE. Per rimanere lassù occorre competere, ovviamente ad armi pari, con gli agguerriti e storici concorrenti. Ripeto che bisogna escludere l’immagine della meteora per quanto inequivocabilmente dichiarato. 

E allora? Senza aggiungere ad un organico forte, come quello attuale, giocatori di primissima fascia non è possibile fare il salto finale per vincere qualcosa di importante, che lo sterminato pubblico partenopeo brama. Negli ultimi tempi si è venduto e poi comprato buoni calciatori e, conseguentemente, non si è decollato.

Se poi vincere è solo uno slogan promozionale di incassi, vuol dire che la proprietà non ha compreso di quale strumento è venuta in possesso dalle ceneri raccolte al tribunale fallimentare. Il Napoli non è una squadra come le altre. La sua storia lo dimostra inequivocabilmente.

Basti rilevare pochi ma essenziali elementi:

  1. L’esistenza di una sola squadra in una grande città affamata di football
  2. Il tifo trasversale che rappresenta tutti i ceti, non solo della provincia ma di buona parte del Sud e dell’emigrazione all’estero
  3. La passione senza eguali al mondo dei supporter azzurri
  4. Il razzismo che genera da sempre ogni performance al di sopra del Tronto e del Garigliano

 

Il punto 1 si spiega con le ripetute occasioni, dall’Internapoli al Vomero (di Wilson e Chinaglia) al Campania di Ponticelli (di Sorbello) , che hanno condotto altre squadre cittadine a sfiorare la serie B. Il passo era breve e avrebbe dotato Napoli di un’altra compagine in serie A, com’è normale nelle metropoli da Milano a Madrid, da Roma a San Paolo, da Londra a Buenos Aires (addirittura con ben più di due squadre). Invece no, mai; e non certo per ragioni tecnico-finanziarie. Abbiamo vissuto alcune di queste vicende e possiamo garantire che la ragione determinante della mancata promozione e poi il ritorno nell’anonimato fu il pubblico napoletano che abbandonò la squadra nel momento cruciale senza un’apparente motivazione, tanto meno il demerito della stessa. Proponiamo la spiegazione, opinabile ma difficilmente sostituibile, che l’unico, vero amore per il Napoli abbia fatto scegliere irreparabilmente di escludere ogni rivale.

Per il punto 2, emerge l’effetto di questo amore grande e fedele. Se tutti sono appassionati dal Napoli, non vi sono in città categorie sociali privilegiate. Dai vicoli o dai centri residenziali, dai meno alfabetizzati o dai professionisti viene unicamente l’amore per il Napoli.  Lo stadio San Paolo è l’unico ad avere due curve colme di supporter. Nei rari momenti di grosse vittorie (come i due scudetti dell’era Maradona) sorprendentemente, per i più distratti, è piovuto sul Napoli l’affetto da tantissime regioni del Mezzogiorno, aggiungendosi a quello delle squadre locali, anche presenti in serie A (come Avellino, Bari e Lecce). Di questo anche siamo stati testimoni con carovane azzurre meridionali dalla Sicilia all’Abruzzo, dalla Svizzera all’America (con emigranti calabresi, lucani ecc.).

Il punto 3 è il corollario di quanto detto. Verso il Napoli c’è una passione che assolutamente non ha eguali al mondo. E’ sufficiente pensare alla prima partita in serie C con 50 mila spettatori o alle mitiche trasferte dei mediocri anni Sessanta con 40 mila tifosi al seguito a Bologna o a Roma. I casi sono due: o i Napolitani (accezione allargata di Napoletani) sono diversi da tutti gli altri tifosi di calcio, oppure non si tratta di calcio… Se si trattasse di calcio, la massima partecipazione vi sarebbe per i grossi appuntamenti, come avviene regolarmente altrove. Squadre praticamente abbandonate o quasi nelle retrocessioni e con uno sparuto nugolo di seguaci anche in casa per le partite minori sono sotto l’esperienza di ognuno. Ma a Napoli ciò non è mai accaduto. Non stiamo quindi parlando di calcio. Di che allora?

Molti comportamenti sociali degli odierni meridionali e napoletani sono apparsi dopo l’enorme shock della conquista tosco-padana, spacciata per unità d’Italia. Dalla malavita organizzata agli atteggiamenti non in linea con lo spirito civico è un susseguirsi di luoghi comuni che vorrebbero ledere la nostra dignità di popolo con ancestrali origini, mentre sono la reazione inconsapevole alle angherie patite dal 1861 in poi, proprio perché non rintracciabili prima di quell’anno  funesto. Il calcio è nato giusto nel pieno della tragedia postunitaria, nei primi decenni del Novecento quando avvenne la diaspora dal Sud conquistato, insanguinato e saccheggiato. Questo sport consentiva a decine di migliaia di persone di riunirsi negli stadi a nome della propria città e di sfidarne altre in maniera leale ma maschia e spettacolare. A nord ciò generò la recrudescenza delle contese medioevali, a sud si cercò uno scimmiottamento   ponendo città contro città come non era mai stato nella storia millenaria. In tal modo Torino, Milano, Bergamo, Genova ma anche Novara, Siena, Mantova, Modena, ripresero il vecchio spirito campanilistico facendo la fortuna popolare di questo sport. Si badò anche attentamente a dividere grosso modo anche i quartieri della grandi città, come a Torino dove i veri torinesi divennero torinisti, mentre gli immigrati juventini. Ad imitazione forzata ciò fu riproposto per Bari, Lecce, Palermo, Catania, Salerno, Cosenza con risultati progressivamente simili al settentrione. Oggi sono scontri sportivi e fisici tra Brescia e Bergamo ma anche, purtroppo, tra Palermo e Catania. L’unico posto dove ciò non è attecchito è stato Napoli. I discendenti degli abitanti della spodestata capitale delle Due Sicilie non hanno accettato le squallide “regole” del tifo calcistico italico rimanendo tutti vicini alla squadra che portava il magico nome della grande Napoli e rifiutando, come visto, qualsiasi tentativo di duplicazione e divisione della tifoseria con un’empatia meravigliosa, profonda e foriera di grandi cose. La persecuzione culturale che seguì quella militare tollerò solo allo stadio di manifestare tutti assieme l’amore trimillenario e l’incommensurabile dolore per la tragedia risorgimentale legati al nome di NAPOLI!  Naturalmente ci fu qualche vendetta per questa resistenza al potere. Un Palazzo calcistico, e non  solo, sempre pronto a colpire più pesantemente il Napoli, come accade puntualmente sino ai nostri giorni; addirittura si è arrivati a cambiare il simbolo della squadra alla sua fondazione nel 1926, il cavallo da sempre emblema del Regno, in un asino (per i primi risultati assai deludenti). A Napoli si sa che il ciuccio rappresenta la versione ignobile del cavallo; trasponendo il significato in senso metaforico, l’asino è l’epiteto affibbiato a una persona, specialmente alunno,  scadente e quasi incapace di migliorare. Secondo il peggiore decadentismo culturale napoletano da più di ottanta anni tutti i seguaci del Napoli hanno accettato questa involuzione iconografica, perfino affezionandosi al somarello e obliando le importanti qualità del più nobile, intelligente e fidato degli animali.

Ancora oggi è verificabile in maniera lampante il nesso tra i soprusi della colonizzazione e la passione per il Napoli.  Nella festa del I scudetto vi sono documentazioni fotografiche di scritte sulle banche settentrionali del tipo: SON TORNATI I BRIGANTI, NAPOLI CAPITALE . Il luogo dove ha meglio attecchito popolarmente lo stemma borbonico riesumato all’esterno nell’ultimo quarto di secolo è proprio lo stadio di Fuorigrotta. Certamente questi esempi non sono calcistici.

Al punto 4 si parla di razzismo nei paesi tosco-padani quando si reca il Napoli a giocare. Recentemente anche a Roma, sempre più simile ad essi, sono avvenuti sanguinosi episodi di tal fatta. Sembra abbastanza evidente che il Napoli calcio rappresenta per l’Italia un fenomeno obiettivamente diverso da tutte le altre squadre. Apparentemente non si capiscono i motivi, ma da quanto detto sopra ovunque è più che appariscente la particolarità dei tifosi partenopei, se a ciò si associa quella persecuzione culturale di prima il quadro è completo. Napoli è stata trasformata nel capro espiatorio di tutti i problemi d’Italia, da quelli economici a quelli comportamentali. I suoi tifosi agiscono in maniera speciale anche come reazione alle aggressioni, non sempre meramente verbali, ricevute con sistematicità. I cartelli BENVENUTI IN ITALIA o VESUVIO LAVALI COL FUOCO sono divenuti una costante terribile nell'”accoglienza” dei supporter napoletani in trasferta. Sempre per pedissequa imitazione, anche in molti campi del sud ciò purtroppo si ripete.

Ignorando nei fatti tutte queste cose i Work in Progress di DLA sono destinati a frustrare tutte le sacrosante aspirazioni dei milioni di tifosi napoletani. Bisognerebbe fare qualsiasi sacrificio per vincere veramente, riducendo al minimo il far play finanziario e tentando ogni strada anche quella degli sponsor stranieri da accattivare con congrui pacchetti azionari. Un Napoli trionfatore in Italia e in Europa scatenerebbe positivamente tutta l’energia della sterminata tifoseria azzurra con risultati ben oltre lo sport e assai prossimi alle intime ragioni prima esaminate. Se non si va in questa direzione vuol dire che manca una Orientation in Progress non avendo compreso le vera essenza di questa società sportiva. Più la proprietà si orienterà su questa realtà, più sarà indotta a dirigere il management, con tutti i mezzi possibili e immaginabili, per conseguire l’attesissima vittoria.

Ogni anno speriamo che ciò stia avvenendo. La prossima campagna acquisti fornirà l’oggettiva risposta.  Ma le avvisaglie lasciano ben poche aspettative in tal senso. DLA dice che i top player sono troppo costosi (come se quando ha scritturato al cinema un De Niro lo ha pagato come un esordiente…) e che occorre puntare su giovani di talento che in un prossimo futuro…bla, bla, bla.

Caro presidente, noi vogliamo veramente VINCERE e SUBITO! Con i tuoi sofismi rimandi alle calende greche i nostri insopprimibili sogni. Il futuro remoto non è nelle nostre possibilità come quello prossimo. Qui c’è una generazione che non può più attendere perché i tempi sono oltremodo maturi per il nostro riscatto in tutti i campi. Cominciamo da quello calcistico, come disse il grande Angelo Manna, e Napoli con tutto il Sud si risveglierà in tutti i settori dal coma risorgimentale. Se non ti vuoi o sai orientare, passa la mano perché il NAPOLI è uno strumento della storia che i ricorsi vichiani pretendono di attivare ADESSO!

 

Vincenzo Gulì