Guardando l’amata bandiera borbonica viene spontaneo pensare alla monarchia, proprio come chi vede il detestato tricolore pensa alla repubblica. Sappiamo bene che non si tratta solo di un problema di diversità di regimi quanto di due diversi tipi di civiltà che hanno caratterizzato la storia umana.

Non voglio addentrarmi in una disquisizione tra monarchia e repubblica, vorrei soltanto semplificare al massimo chiamando i fautori della prima realisti e quelli della seconda giacobini in virtù della storia che ce li ha così indicati. La lotta che li contrappose nel XIX secolo finì con la vittoria dei giacobini che, secondo i canoni rivoluzionari, mutarono spesso denominazione e addirittura tipo di regime. Chi segue il filo logico che li contraddistingue, assiste alla loro  trasformazione in carbonari, liberali e socialisti, ma anche in imperiali (napoleonici) e regi (come nelle monarchie del nord Europa). La confusione è una loro micidiale arma che scuote i meno provveduti. In altre parole nel mondo d’oggi essi sono dappertutto nella società civile senza differenze geografiche o etniche. Anche se sono sovente in lotta interna, il loro vero nemico fu e resterà sempre quello che riesce ad interpretare il ruolo iniziale di realista.
Il giacobino fu detto pure il filosofo utopico a fine Settecento nel senso che esprimeva concetti sottili spesso affascinanti che o erano irrealizzabili o non si voleva affatto realizzarli. Egli si innamorava narcisisticamente delle proprie idee e, quando esse puntualmente abortivano, accusava avversari o compagni inetti per il fallimento; mai che pensasse alle difficoltà oggettive ma sempre e soltanto a quelle soggettive degli…altri!

Il realista veniva da lunghe esperienze governative e si muoveva nell’ambito del fattibile apportando le debite innovazioni dopo aver verificato al massimo la loro realizzabilità. Egli teneva tanto conto della realtà delle cose e delle persone anche se spesso appariva troppo conservatore e quasi restio a programmi ambiziosi; per il bene dei più quasi soffocava le avventure aleatorie dei pochi!

 

Grazie alla scuola post-rivoluzionaria siamo stati iniziati tutti alla mentalità giacobina; quella realista è necessario conquistarla con grande impegno intellettuale non conformista, indipendentemente dall’età e dal grado di istruzione.

A causa del caos concettuale di cui prima, non tutti quelli che si avvicinano all’ideale realista sono completamente emendati dalle scorie giacobine. La recrudescenza del giacobinismo inculcato in tenera età si manifesta nei momenti meno opportuni creando seri problemi nel mondo della contro-rivoluzione.

L’intervento dei realisti in politica per la difesa del Sud è l’occasione per sperimentare quanto detto sopra.

Tutti quelli che hanno a cuore le sorti della nostra antica patria duosiciliana hanno compreso che solo scendendo nel campo politico-elettorale è possibile far cambiare rotta ai governi italiani filo-risorgimentali che da 151 anni ci opprimono. Naturalmente questo lo hanno capito anche i nostri padroni settentrionali…

Partendo da questo presupposto ampiamente condiviso, è d’uopo esaminare due elementi: il fatto che sino ad oggi non si è fatto politica e la richiesta della maggioranza di entrare in politica.

 

Fermo restando che l’attività culturale è ovviamente anche politica (non in senso elettorale), faccio riferimento alla politica elettorale che è il punto saliente.

Esiste obettivamente un rapporto diretto di proporzionalità tra le informazioni specifiche date al corpo elettorale e i voti ricevuti. Per informazioni specifiche si intendono almeno quelle che avvisano gli elettori che esiste un dato partito con proprie caratteristiche in una determinata zona. Poiché sono tramontate le ideologie politiche (osservare gli ibridi componenti della cosiddetta destra e sinistra), non è l’elettore che cerca il simbolo da votare ma è il partito che deve convincere il cittadino a dargli il voto. In altri termini, a prescindere da quello che l’elettore pensa, il voto sarà espresso per chi sa attirare la sua attenzione ed i suoi interessi; spesso non sarà dato affatto se non si riesce a suscitare né attenzione né interesse…

Ebbene, alle forze politiche che non sono congeniali al sistema non è concesso spazio sufficiente  nei mass media che trattano la politica. Lo spazio bisogna farselo da soli, cioè con uomini e risorse proprie. Se si pensa che un partitello qualsiasi per arrivare al successo (col beneplacito del potere) impiega svariati milioni di euro, ci si rende conto di quanto sia impossibile autofinanziarsi.

Si cita il caso Lega Nord perché si intravedono delle similitudini tra lo spirito che unisce i settentrionali attorno al Carroccio e quello che potenzialmente potrebbe calamitare i meridionali magari attorno al vessillo delle Due Sicilie. Ma tali somiglianze devono misurarsi con due considerazioni essenziali:

  1. se il potere dello stato avesse temutola Legapoteva in mille modi stroncarla
  2. i finanziamenti iniziali sono stati elargiti dalla medio e piccola industria settentrionale.

In altre parolela Legaè nata con l’apparente preoccupazione (unitaria) del potere costituito (in effetti entrambi miravano al federalismo anti-Sud) e con mezzi bastanti per formare i primi nuclei d’azione (volantini, manifesti, sedi, pullman per manifestazioni, bandiere ecc.) e per riuscire a raggiungere quel corpo elettorale potenzialmente favorevole. Chi pensa al carisma di Bossi o alla maturità dei tempi per la rinascita padana, è ancora impegolato nelle fole risorgimentali con Garibaldi eroe e l’Italia da fare ad ogni costo.

 

Se fossero falliti cosa avrebbero detto i leghisti delusi? Avrebbero accusato Bossi ed i suoi stretti collaboratori di incapacità, convinti (a buona ragione) che il periodo era propizio per dare una spallata al sistema di Roma-ladrona., avrebbero scelto un altro capo che, se uguale o inferiore intellettualmente al primo (evento arduo…) , non poteva che fare la stessa misera fine… Poi ne avrebbero trovato un altro più intelligente (evento facilissimo…)che, consapevole dei disastri dovuti alla mancanza dei fattori fondamentali, avrebbe raffreddato gli animi, invitato alla calma, preso tempo. Così facendo avrebbe perso la fiducia dei più esagitati e determinati ma infettati di giacobinismo perché forniti di paraocchi che non permettono di vedere l’importanza di quei due elementi: controllo dello stato e risorse adeguate . Sarebbero sorti allora altri movimenti settentrionalistici con leader giacobini che dicevano cose giuste ma irrealizzabili, che erano amareggiati per il tempo perso e che, pur essendo reucci del proprio pollaio scissionista, si auto-convincevano sempre di più che tutta la colpa era  di quel nuovo capo leghista che tentennava a scendere in campo…

Le non riconosciute difficoltà oggettive scambiate per un’ingiusta accusa soggettiva!!!

Questi settentrionalistici  leader giacobini avrebbero sempre più guardato alla voglia dei settentrionali di migliorare il loro stato e si sarebbero sempre più rammaricati dell’inattività del capo; avrebbero rilevato i tanti gruppi o gruppetti simili a loro ed avrebbero sognato di unirli per la grande battaglia comune. Così facendo avrebbero voluto imporre al leader leghista un’azione destinata certamente a perdere, pronti, però, ad accusare di ciò l’inadeguato impegno del vertice.

Questo è un circolo chiuso con due possibilità: o si riconosce l’astrattezza dell’azione immediata, o si continua masochisticamente a criticare facendo la figura dei coraggiosi di fronte agli ignavi.

 

Non è necessario specificare cosa avviene oggi nel frastagliato e sovente contrapposto mondo meridionalistico. L’esempio leghista prodotto mi sembra appropriato per capire la realtà attuale.

Ma bisogna veramente aspettare la coincidenza di quelle due condizioni per agire?

Rispetto a qualche anno addietro il mondo meridionalista (cioè quello che sa qualcosa sulle vere responsabilità della crisi endemica del Mezzogiorno d’Italia) è mutato. Ciò grazie alla crescita di una generazione di meridionali formati con il ronzio della revisione storica che aleggiava sulla scuola di stato. La sinergia di costoro con i più determinati e disinteressati leader ultra ventennali che lottano per il riscatto del Sud appare bastante per superare la commercialità della politica (ossia il suo dipendere dalle risorse impiegate in maniera non ideologica). E la reazione delle istituzioni? Essa sembra assai ammorbidita dalla grave crisi economica planetaria e s’illude sicuramente di poter gestire anche la sacrosanta protesta del Meridione d’Italia. E’ tipico dei giacobini presumere che non esista un’altra dimensione al loro modo di vedere il mondo o, per lo meno,  che si sia estinta dopo oltre due secoli dalla Rivoluzione. Ma i Realisti ci sono ancora! Essi sanno cosa fare e quando farla e ragionano in maniera ben differente dagli altri sino a spiazzarli completamente, sino a sorprenderli per la profondità dei loro ideali, sino ad avere alle proprie spalle un vento via via più sensibile e impetuoso che varrà più di tutti i profitti delle multinazionali che li sovvenzionano!

Alla faccia di novelli giacobini, annidati nel posto sbagliato, la storia insegna che per organizzare imprese eccezionali ci vogliono i generali, non gli eserciti.  Generale non è chi lancia un manipolo di simpatizzanti contro un nemico mille volte superiore ottenendo la totale distruzione; generale non è nemmeno chi prescinde da quei due fondamentali fattori o se li inventa presenti nella sua fantasia; generale è chi sa che cosa fare, sa come farlo e, soprattutto, sa quando farlo; generale è chi sopporta la lunga attesa senza far perdere le speranze ai suoi amici, patendo spese senza ritorno, critiche feroci degli sprovveduti, tante piccole sconfitte foriere di vittoria; generale è chi organizza ogni giorno qualcosa come se fosse il giorno fatidico, si ferma e poi ricomincia senza interessi, senza compiacimenti, senza gratitudine.

Soldato semplice non è chi non ha i gradi massimi; è chi, acceso di buone intenzioni, osserva i generali per disapprovare il loro mancato sguainare la spada senza però volerli sostituire, probabilmente intuendo inconsciamente  la loro vera vita quotidiana e standosene serenamente lontano oppure perché non ha niente di meglio da proporre concretamente.

Stiamo allora pronti per il gran giorno, rimuoviamo e teniamo distanti i giacobini vicini e lontani, abbiamo fiducia in chi ha intrapreso una strada solo per amore della sua patria duosiciliana. Questo è quello che distingue giacobini e realisti a cui la storia ha promesso la vittoria finale.

Il Sanfedista