LA BATTAGLIA DI BITONTO

Il grande, glorioso e borbonico Regno delle Due Sicilie si delineò esattamente 286 anni fa in una battaglia decisiva in Terra di Bari tra Austriaci e Spagnoli. Ripercorriamo l’operazione bellica che sancì l’ascesa al trono del diciottenne Carlo di Borbone, figlio di Filippo V e Elisabetta Farnese.

Carlo di Borbone



Nel 1733 la guerra di successione polacca crea un’alleanza tra Spagna, Piemonte e Francia contro l’Austria e Russia per designare il nuovo re. Essa è anche l’occasione offerta alle altre potenze europee di ridimensionare l’egemonia del Sacro Romano Impero in Italia. Già il giovanissimo Infante Carlo era stato inviato da Madrid nel Granducati nord-italiani per riscattarli dal giogo austriaco. Arriva allora l’opportunità per occuparsi anche di Napoli e della Sicilia per combattere gli austriaci che ivi dominavano. All’inizio del nuovo anno 1734 la regina di Spagna Elisabetta sprona il principe, appena diventato maggiorenne, a partire proprio dalla sua Parma con queste parole “Va dunque e vinci; la più bella corona d’Italia ti attende”. Naturalmente si riferisce al duplice trono siciliano che appariva concretamente alla sua portata anche per le simpatie popolari nei confronti dei borbonici che sostituivano gli ormai invisi asburgici.

Con un esercito di spagnoli, francesi e mercenari cattolici (come gli irlandesi, gli svizzeri e i valloni) oltre che napoletani stanchi del dominio asburgico, Carlo entra nel regno con il beneplacito di papa Clemente XII. A fine marzo a Sessa i borbonici sbaragliano l’avanguardia nemica e si presentano al grosso dell’esercito comandato dal feldmaresciallo Von Traun presso Mignano. L’abile manovra di aggiramento iberico costringe Traun ad arroccarsi a Capua. La brutta notizia spaventa il viceré Giulio Visconti che fugge verso il Principato Ulteriore e la Capitanata. Le porte di Napoli sono finalmente aperte e c’è l’entrata trionfale il 10 maggio dopo la resa dei castelli. Il 15 dello stesso mese è emanato l’atto formale che legittima l’Infante con i limiti dell’accordo con le potenze continentali. Infatti si parla di: “Carlo, per grazia di Dio, Re delle Due Sicilie e di Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza e Castro, Gran Principe Ereditario di Toscana ecc.”. Inoltre Filippo rinunciava alla monarchia napolitana e siciliana con l’impegno di non riunire mai questa corona con quella spagnola.

Il grosso delle truppe austriache si concentra nelle Puglie, congiunto all’armata della Sicilia sbarcata a Taranto sotto la guida del conte di Traun, per partire al contrattacco ricevendo altri rinforzi da Trieste. A Bari c’è il quartier generale con i duci supremi, principi Pignatelli di Belmonte e di Strongoli, che decidono di affrontare il nemico all’interno presso Bitonto sia per le difese naturali della zona (ideali per ostacolare la temuta cavalleria iberica) sia per avere lo spazio per un’eventuale ritirata verso le navi in porto. Sono oltre dieci mila uomini, pronti a dare battaglia, che si schierano nella cittadina dove i bitontini mostrano fedeltà al vicereame e concedono dei loro conventi per realizzare una linea fortificata appena fuori delle mura. La formazione è costituita da 6.500 soldati di fanteria, 1.500 di cavalleria, 400 ussari e il resto erano 24 squadroni di corazzieri.

La città di Bitonto

Le forze caroline, di poco superiori a quelle contendenti, erano guidate da José Carillo de Albornoz y Montiel conte di Montemar, un andaluso esperto condottiero delle armi imperiali spagnole. In vista dell’invio imminente di ulteriori rinforzi al nemico partiti dalla Dalmazia, in pochi giorni i soldati borbonici si affrettano a penetrare nella Terra di Bari con la seguente composizione: 12 battaglioni di fanteria, 22 compagnie di granatieri, 24 squadroni di cavalleria più le brigate di fucilieri e granatieri Reali e le compagnie di granatieri a cavallo.

Il comandante in capo borbonico





Montemar dispone la fanteria contro i difensori tra Terlizzi e Bitonto. Avendo un numero superiore di cavalieri ne schiera una parte contro quelli nemici e ne tiene prudentemente un’altra come riserva ad Andria. La notte del 24 maggio si accendono i primi scontri interrotti solo da un violento temporale. Ma all’alba del 25 divampa la vera battaglia.

Borbonici all’attacco

Gli attaccanti partono con troppa baldanza allo scoperto e sono fermamente ostacolati dagli austriaci ai riparo della fortificazione. Montemar fa finta di ritirarsi per snidare il nemico. Lo stratagemma non funziona e la resistenza è accanita e cruenta per ambo le parti.

La strenua resistenza dei fanti austriaci


Gli attaccanti assaltano allora da ogni lato e lentamente riescono a sloggiare i primi asserragliati che rinculano verso Bitonto. Si distinguono i valloni comandati dal conte di Mazeda  che, impavidi e noncuranti delle perdite, sconquassano il centro avversario. Però i cavalieri imperiali difendono accanitamente e efficacemente le altre postazioni bloccando i borbonici.

Montemar dà gli ordini vincenti

E’ il momento di chiamare i rinforzi della cavalleria spagnola in fremente attesa più a nord.

La temutissima cavalleria spagnola

L’irruzione inattesa dei cavalieri, tanto abili e solerti nel superare agevolmente gli ostacoli disseminati attorno ai difensori come muretti ed anfratti, fa temere gravemente a Belmonte l’accerchiamento. I primi a decidere di fuggire sono i cavalieri austriaci che puntano su Bari lasciando il campo di battaglia. Belmonte non può far altro che impartire l’ordine di ripiegare verso la costa. Questo fiacca le sue truppe e accende quelle ostili con precipitoso arretramento asburgico e inseguimento spagnolo fino alle prime ombre del tramonto quando una parte delle truppe alemanne (sinonimo allora usato alla pari di austriache o anche tedesche) rientra in Bari e il resto o si arrende o si asserraglia in Bitonto. Ma l’entusiasmo è tutto per i borbonici che hanno conquistato bandiere, stendardi, pezzi d’artiglieria e altro materiale bellico abbandonato dai soldati in arretramento precipitoso.

Il 25 è gloria per le truppe caroline

Numerosissimi sono i prigionieri, quasi otto mila. Poco più di un centinaio sono i caduti degli attaccanti, mentre dieci volte superiori sono quelli dei resistenti. I fortunati che entrano in Bari portano immagini e notizie raccapriccianti ingigantendo la potenza degli spagnoli agli occhi degli increduli e sbigottiti abitanti. La strada da Bitonto a Bari è una sequela orribile di corpi di morti e moribondi, cavalli feriti e stramazzati, armi e bagagli cosparsi tutt’intorno. Su di essi scorrazzano i cavalieri iberici che di fatto già assediano il capoluogo. Quando è ormai scuro parte il marchese di Castellar con il messaggio della vittoria per Napoli e si circonda Bitonto tutta arroccata vicino al castello dal maresciallo di campo generale Rodosky che aveva risposto all’intimazione di resa con una bordata di cannoni.

L’assalto a Bitonto il 26

Il 26 Montemar sferra l’assalto finale a Bitonto che appare decisa alla resistenza ad oltranza sulle antiche mura. Ma quando su di esse sono puntati i cannoni pesanti spagnoli, che potevano demolirle completamente, i difensori si persuadono dell’inutilità di proseguire la lotta e si arrendono tutti. Per non cadere prigionieri di guerra alcuni sono aiutati dai bitontini a nascondersi e ciò fa andare su tutte le furie il comandante borbonico. Addirittura dà ordine di sparare sugli abitanti e consentire il sacco della città. Un’antica leggenda narra che gli appare improvvisamente la Vergine Immacolata intimandogli di risparmiare la popolazione di Bitonto. Fatto è che Montemar desiste dai suoi severi propositi e da allora l’Immacolata, venerata nelle Sicilie ben prima del dogma di Pio IX, è Patrona della città.

L’Immacolata appare a Montemar

L’esercito borbonico si dirige allora su Bari dove anche Belmonte voleva opporre fiera resistenza. Ma i baresi non erano i bitontini e cominciarono a minacciare seriamente gli Alemanni per indurli alla capitolazione. Il Consiglio cittadino convince alla fine il comandante in capo austriaco a cedere le armi ed evitare altri spargimenti di sangue senza possibilità di vittoria. I principi Pignatelli Belmonte e Strongoli aderiscono immediatamente all’intimazione di resa e Bari cede senza colpo ferire. Da Sua Maestà Cattolica (come si appellavano i re Borbone) riceverà grandi onori Carillo de Albornoz y Montiel, conte di Montemar, nominato anche Duca di Bitonto.

Sul luogo degli scontri più cruenti il sovrano vittorioso farà erigere un obelisco con scritta in latino che, sul lato guardando il sud,  inneggia alle popolazioni delle Sicilie e alla raggiunta libertà italica.

CAROLO

HISPANIURUM INFANTI

NEAPOLITANORUM ET SICULORUM REGI

PARMENSIUM PLACENTINORUM CASTRENSIUM DUCI

MAGNO AETRUSCORUM PRINCIPI

QUOD HISPANICI EXERCITUS IMPERATOR

GERMANOS DELEVERIT

ITALICAM LIBERTATEM FUNDAVERIT

APPULI CALABRIQUE SIGNUM

EXTULERUNT

A Carlo

Infante di Spagna

dei Napolitani e dei Siciliani Re

dei Parmensi dei Piacentini dei Castrensi Duce

degli Etruschi Gran Principe

perchè dell’esercito spagnuolo Capo Supremo

i Tedeschi annientò

e l’italica libertà fondò

i Pugliesi e i Calabresi la bandiera 

alzarono

Parecchi vogliono leggervi una premonizione dell’unità d’Italia. Riflettendo sulla storia di questa terra e sui discendenti di Carlo si delinea il convincimento che il riferimento era invece a quel territorio che assunse il nome dalle Calabrie, conformato nella Magna Grecia, completato da Ruggero il Normanno: proprio le Due Sicilie.  D’altronde la citazione dei calabresi è sintomatica. Come la fantomatica “corona d’Italia” offerta dai liberali a Ferdinando II nel ’48, così svanisce nella logica storica questo conato di indicare Carlo di Borbone come precursore di un…Savoia! Si sa che i più potenti conquistatori transitarono per la penisola senza immaginare nemmeno lontanamente ad unificarla perché naturalmente improponibile. Il 1861 servì solo a distruggere il più bel regno del mondo…

La battaglia di Bitonto è molto conosciuta e studiata in Spagna perché svolta importante della storia europea. Da noi non è così per la damnatio memoriae che perseguita i Borbone con lo scopo di perpetuare la nostra schiavitù che dura da 159 anni. Localmente si ricorda l’evento con lodevole costanza ma il nostro futuro cambierà quando in un fine maggio a Bitonto, presso l’obelisco carolino, vi saranno i rappresentanti di tutte le 22 province duosiciliane ad onorare la nostra storia nazionale.

Napoli 25 maggio 2020, CLIX a.o.

Vincenzo Gulì

Bellissimo disegno d’epoca della battaglia