E’ vibrante l’attuale dibattito sulle cosiddette “gabbie salariali” che sono in sintesi degli imminenti provvedimenti governativi atti a correlare la retribuzione dei lavoratori dipendenti all’indice ufficiale del costo della vita dei territori di appartenenza. Dopo che è stato chiaramente dichiarato che a Sud la vita costa meno che a nord, grazie alle statistiche compiacenti degli economisti di regime, è ovvio che le “gabbie” dovranno racchiudere i residui lavoratori meridionali per restringere la loro libertà contrattuale e quindi i loro sudati guadagni.

Da più parti vengono più o meno flebili difese delle maestranze meridionali che vertono, però,  più sul significato delle parole che sul triste progetto di decurtare i loro stipendi fissi, già sempre più rari nel Mezzogiorno.

Quello che nessuno dice è che, nei periodi come questi di crisi, l’economia di una nazione è come una coperta corta : per coprire bastantemente qualcuno occorre necessariamente scoprire qualcun altro. Il nord ha semplicemente chiesto al succube governo di turno di continuare a essere ben coperto, a detrimento naturalmente del Sud, che non è notoriamente tutelato da nessun partito.

Quindi quest’estate rovente lo sarà ancora di più per l’accesa polemica sul costo del lavoro ma, ineluttabilmente e sostanzialmente, l’epilogo sarà, ancora una volta, letale per i meridionali. Non saranno forse proprio “gabbie salariali” ma contratti d’area, incentivi a cottimo, stipendi differenziati o neologismi di comodo che bloccheranno tra le sbarre legislative i lavoratori del sud con l’acquiescenza di partiti e sindacati e la benedizione dei soliti pensanti pronti ad ammonire: poteva andar peggio…

Usque tandem?

 

Il Sanfedista