Ferdinando I e le Giunte di Scrutinio
la remissività dei Borbone verso la Massoneria
Alla conclusione dei moti del 1820-21 ed in sintonia con la Santa Alleanza Ferdinando I emette il decreto il 12 aprile 1821 con cui apre una stagione di larga e profonda ispezione dei funzionari civili, ecclesiastici e militari delle Due Sicilie. L’amara esperienza con i carbonari lo aveva convinto della necessità di indagare sulla condotta degli amministratori per tutelare il regno dalla perenne rivoluzione perseguita direttamente o indirettamente dalla setta massonica.
A seconda dei rami di competenza furono istituite diverse Giunte di Scrutinio per un piano di risanamento che teoricamente poteva rappresentare l’antidoto perfetto per salvaguardare le Due Sicilie dal cancro giacobino che si era manifestato in Europa sin dal 1789. Un’effettiva e grande novità che è venuta recentemente alla luce grazie alla sagacia del dott. Lorenzo Terzi e alle sue ricerche nell’Archivio di Stato di Napoli di cui è funzionario e cui qui si fa riferimento.
I documenti analizzati riguardano la provincia della Calabria Citra con l’invito scritto a ogni impiegato a «domandare lo scrutinio della sua condotta entro un mese dalla notifica del disposto, pena l’essere considerato dimissionario dalla carica e dall’eventuale pensione di grazia di cui avesse goduto>>. Ciò si realizzava su un questionario prestampato che chiedeva delle risposte a precise domande personali, come si vede nella foto del documento che controlla il presidente della camera notarile di Cosenza. E’ d’uopo riportare la cartella di costui per farsi un’idea dell’importanza dell’iniziativa:
Le domande erano sei:
- In qual epoca ebbe il primo impiego, ed in quali altre epoche ottenne degli avanzamenti.
- Se abbia fatto parte della setta Massonica, o di qualunque altra.
- Se specialmente sia appartenuto alla setta carbonara: se appartenne a quella che sorse nel 1813 od all’altra che si riprodusse nel 1820 oppure ad entrambe.
- In qual epoca e per qual motivo vi concorse, ed in quale Vendita si ascrisse. Se vi abbia figurato da dignitario: quante volte ad un di presso vi sia intervenuto, e se abbia egli stesso istituite, o tentato d’istituire delle Vendite Carbonarie.
- Se abbia pubblicati scritti, o stampe sediziose di qualunque genere, sieno proprj o sieno altrui, che offendessero la religione, od i sacri dritti del Re N[ostro]. S[ignore]., o che eccitassero i Popoli agli ammutinamenti, ed alle armi.
- Se abbia fatte allocuzioni orali, arringhe, o canti estemporanei diretti al medesimo scopo dell’Art. precedente nelle Vendite, o nelle adunanze Popolari.
Ecco le risposte di questo Pasquale Rossi di Cavallarizzo (comune unito del circ. di Cerzeto, distr. di Cosenza, prov. Calabria Citra):
- Io per essere Laureato in Legge, ho servito lo Stato da Governadore, e Giudice sin dall’anno 1795. Da tal epoca in poi ho fatto molti servizi al Governo con averli mandati soldati volontarj, e disertori nelli Regimenti. Nell’anno 1799 mentre ero Governatore, e Giudice nel Lago, mandai in giro per la Provincia Proclama rimessomi dal Cardinale Ruffo, che perdonava gli [sic] traviati. Da molta gente del Lago lo feci seguire, ed accompagnare l’obice per riacquistarsi allora il Regno, e mantenni quella popolazione in buon ordine, ed esente da ogni disturbo. Di tali servizj prestati per incarico di S[ua] M[aestà] D[io] G[uardi], la Regia Udienza di quel tempo, sedente io in questa Città di Cosenza, nel mese di agosto dell’anno 1801 fece lunga relazione a mio pro, e fui nominato Regio Governatore Giudice Capodiparto. Nell’anno 1806 venne l’occupazione militare, e per essere io fedele al Re nostro Sovrano, fui male[t]rattato da Generali Francesi, ch’ebbi da dare la cauzione. Indi fui ommesso [sic] dalle cariche per più tempo. Poi nell’anno 1809 nel mese di 8bre accettai, per vivere la nomina di Conservatore Presidente della Camera Notariale di Monteleone, prendendo possesso nell’anno 1810. Istallata quella Camera Notariale, nell’anno 1812 mi traslocarono in questa Città di Cosenza nella medesima carica, ove attualmente sono. Malgrado la mia buona condotta, e reclami non ho potuto avere avanzamento, abbenché per la mia buona fede, e talenti fossi stato impiegato in detta Camera Notariale.
- Io non conosco Massoneria, o setta alcuna.
- Io non sono ascritto ad alcuna vendita di Carboneria.
- Mai ho avuto in pensiere scrivere contro la religione, e dritti del Re nostro Sovrano, o di ammutinamento per essere stato uomo di pace.
- Mi rimetto, come sopra.
- Non Signore perché gli [sic] armi miei furono sempre la Sacra Scrittura, li libri di Legge, di erudizione, e scientifici; non che la Giustizia, e prudenza, che mi han regolato nella carica in cui sono, che mai ho abbandonata. Cosenza 14 Gennaro 1822.
Io Pasquale Rossi del fu Domenico di Cavallarizzo di anni 55 circa Conservatore Presidente della Camera, ed Archivio Generale Notariale, ho risposto come sopra.
Un’autocertificazione che aveva effetti giudiziari solo se apertamente mendace. Comunque era una schedatura di notevole rilevanza che forniva un quadro ricco di dettagli su coloro che reggevano lo stato duosiciliano. Da essa si poteva attingere il motivo per perseguire seriamente l’individuo all’insorgenza di un sospetto di lesa maestà.
La Massoneria sprigionò la sua forza nefasta dopo la rivoluzione francese ma già da tempo aveva cominciato a tramare contro il cosiddetto Ancien Régime piazzando agenti segreti dappertutto nei gangli degli apparati statali dell’epoca. A Napoli si era infiltrata all’avvento di Carlo di Borbone senza scoprirsi troppo, anche con personaggi apparentemente innocui e lealisti. Per certi suoi comportamenti, segnatamente verso la Chiesa Cattolica, possiamo citare il toscano Bernardo Tanucci. La lungimiranza dell’imperatrice austriaca Maria Teresa le fece adottare cautele ed espedienti per controllare i suoi esponenti a Vienna, trasferendo poi questo suo modus operandi alla figlia Maria Carolina quando sposò Ferdinando di Borbone. Non certo casualmente il primo incontro della giovane regina con il primo ministro Tanucci fu tutt’altro che cordiale anzi lanciò una chiara minaccia di giubilazione al suo insediamento nel Consiglio di Stato (cioè dopo aver partorito l’erede). Avvicinandosi la bufera rivoluzionaria una sorta di controspionaggio fu organizzato proprio da Maria Carolina per snidare i traditori. Ma la potenza dell’esercito rivoluzionario francese spazzò via ogni precauzione portando i giacobini direttamente nel regno di Napoli e i reali furono costretti a spostarsi in quello di Sicilia, protetto dalla flotta inglese. Dopo l’epica impresa dei sanfedisti, il rigurgito neo giacobino per ben dieci anni gettò Napoli sotto la dominazione napoleonica che ebbe tutto il tempo per estendere il cancro massonico dovunque, nelle classi più predisposte (perché represse dai Borbone per tutelare i più deboli) come l’aristocrazia e la borghesia avide di smisurato potere basato sullo sfruttamento popolare.
Alla Restaurazione, l’Europa e Napoli non furono capaci di stroncare il neo giacobinismo sovversivo (che sovente cambiava nome per confondere gli ingenui) ed esso si continuò a sviluppare e ad insinuarsi negli stati ancorché vittoriosi sul Bonaparte, grazie soprattutto al doppio gioco dell’Inghilterra, matrice delle logge massoniche.
In conclusione è veramente encomiabile il proponimento di Ferdinando I di istituire le Giunte di Scrutinio per scovare i massoni, dichiarati o meno e con appellativi nuovi di zecca come i Carbonari. Ma purtroppo non ci fu conseguenzialità, come non ci fu il pugno di ferro, pur intravisto, della Santa Alleanza per scongiurare altri sommovimenti eversivi. Probabilmente il Borbone si trovò davanti al dilemma di eliminare dalla pubblica amministrazione civile e militare troppi indiziabili, essendo stato i ¾ del suo regno corrotto dai napoleonidi, fino a prefigurargli la perdita di quelle che erano considerate le persone più preparate ed esperte dello stato, perché forgiate sotto i francesi alle più ricercate e moderne tecniche burocratiche e guerresche. Non ebbe l’abilità di soppesare appieno il tenue diaframma che divideva i suoi funzionari tra lealtà e fellonia; non ebbe il coraggio di selezionare e addestrare persone più affidabili anche se meno scafate; non seppe rinunciare a un’immediata, apparente e precaria pace sociale per costruirne una duratura.
Se Ferdinando I fece solo il primo passo per combattere i nemici della patria fermandosi poi in attesa della nuova aggressione, cosa poteva mai fare di più e meglio il successore Francesco I? Ed anche il grande Ferdinando II peccò alla stessa stregua nonostante le sue doti eccezionali negli altri campi del suo rigoglioso regno. Questa gravosissima eredità di inefficienza programmatica e quindi acquiescenza pratica verso il neo giacobinismo investì anche il giovane Francesco II che fu definitivamente travolto insieme al suo regno nel 1861.
Vincenzo Gulì