unione-forza

Ma l’unione fa veramente la forza?

I luoghi comuni sono, come gli slogan, creati dai mass media per addomesticare le folle. Anche i proverbi antichi vanno trattati con cura perché possono portare equivoci e talvolta sono contradditori.
La realtà è che tutti questi evocano situazioni note al solo proferirli. Basta quindi autorevolmente utilizzarli per orientare le opinioni a prescindere dal contesto in cui si opera. E’ pertanto possibile far perdere di vista l’effettiva consistenza di un fenomeno correlandolo, in buona o cattiva fede, al significato comune che non per forza gli compete in ogni frangente. Gli effetti negativi sono pesanti proprio perché ognuno si pasce nel sentito dire e si auto inibisce ogni critica, smarrendo la realtà.
Che l’unione faccia la forza è un bellissimo aforisma che seduce chiunque sia impegnato in uno sforzo che travalica le risorse individuali. Ma attenti a generalizzare! Con un tale ragionamento la famigerata unificazione italiana del 1861 avrebbe dovuto formare una nazione più grande che conseguentemente avrebbe migliorato le condizioni dei suoi abitanti. “Tanti staterelli” o il Regno d’Italia? Quante volte ci hanno propinato questa panzana attivando l’immaginario collettivo che “l’unione fa la forza”? Senza troppo dilungarsi sull’invitante argomento è sufficiente riflettere che il Regno delle Due Sicilie era tra le prime 3 o 4 nazioni al mondo a metà Ottocento e che l’Italia che lo incorporò si sarebbe assisa nei G7 soltanto nell’ultimo quarto del Novecento! Bella unione e bella forza se il risultato dell’unità italiana ha fatto regredire tutto l’insieme dal 3° posto di una sua parte a posizioni via via più basse sino ad esultare, dopo ben oltre un secolo, per il raggiungimento del 7° posto!
La morale scaturente è che bisogna ben soppesare gli elementi che si mettono assieme, adoperando estrema cautela e indagando a fondo prima di illudersi di accrescere la potenza con la frettolosa legatura di cose diverse. Potrebbe venire in aiuto un altro proverbio “Fare di tutt’erba un fascio” tanto per dimostrare quanto detto all’inizio.
Alla luce di tutto ciò mi fanno sorridere quelli che gridano ai danni per le Due Sicilie per l’eccessiva frammentazione dei gruppi identitari. Come se bastasse metterli assieme per vincere.
Si ripete quanto detto poc’anzi: ” che bisogna ben soppesare gli elementi che si mettono assieme, adoperando estrema cautela e indagando a fondo prima di illudersi di accrescere la potenza con la frettolosa legatura di cose diverse.”
Non ci facciamo lusingare dai luoghi comuni. L’unione fa la forza a condizione di riguardare elementi omogenei, ciò ovviamente nella sostanza, nei fatti non nelle sigle e nei proclami mai realizzati. Fermarsi all’apparenza è un tipico peccato giacobino che i borbonici del III millennio non possono più commettere. Qualcuno in buona fede, ma colpevole di non approfondire le cose, ignora o sottovaluta informazioni notorie su alcuni gruppi che hanno dimostrato i loro numeri negativi a più riprese anche  e soprattutto quando sono stai apertamente invitati a cambiare rotta…
“Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani” fu detto (probabilmente da D’Azeglio) dopo la mala unificazione. Ma 155 anni dopo ciò non si è realizzato  semplicemente perché è una soluzione impossibile! Allora mai illudersi che ciò che è palesemente diverso cambi solo perché messo in un altro contesto. Quando elementi sostanzialmente e dichiaratamente eterogenei si uniscono, la forza scema maledettamente!  Non ripetiamo l’errore fatale dei “benpensanti” delle Due Sicilie che plaudirono all’abbraccio letale con i nemici acerrimi oltre il Tronto e il Garigliano.
Se il nostro felice Regno avesse resistito alle sirene risorgimentali avrebbe da una parte proseguito il suo impetuoso sviluppo socio-economico e dall’altra sarebbe diventato polo di attrazione per tanti stati inferiori guidati da indegni despoti. Man mano sarebbe stato possibile per questi veri staterelli dotarsi di governanti nuovi, regimi diversi e progressivamente essere accolti dalla grande madre distesa tra Napoli e Palermo.
Questo schema va assolutamente applicato al mondo identitario che oggi lotta per il riscatto dei territori duosiciliani sotto colonizzazione italiana. Solo chi non conosce la storia ricade nei medesimi errori del passato!
Il rischio è che l’eccessivo unionismo sia solo un comodo pretesto per la relatività del proprio impegno. In altre parole, se non si fanno grandi passi avanti si preferisce dare la colpa alla mancanza di alleati virtuali più che ai limiti qualitativi dei soggeti che parlano. Si ripete, sono i grossi risultati a far crescere l’insieme dei militanti non perché usano una stessa sigla ma perché si sono allineati sullo stesso fronte di lotta. Ogni sinergia va realizzata nell’azione e non nella preparazione all’azione. In tal modo chi è alquanto allergico all’attivismo non sarà mai presente e ognuno potrà convincersi che è meglio perdere che avere contatti con questi refrattari dell’azione pubblica. E’ vero anche il contrario nel senso che chi non regge troppo l’attivismo facilmente s’invaghisce di dimensioni meno furenti e stressanti, al calduccio di casa propria o in splendenti sale per incontri culturali, che si giustificano solo se propedeutici all’azione successiva. Così aumenterebbero i non attivisti, ma la selezione naturale porterebbe finalmente alla battaglia finale i veri artefici del riscatto delle Due Sicilie, senza zavorra e senza inutili ciance!
Vincenzo Gulì