L’abile regia teatrale che sta realizzando quella che oggi definiremmo la fiction dell’impresa dei “mille” dopo le battaglie truccate e le votazioni basate sui brogli, propone la scena dell’incontro tra il “bis-eroe” Garibaldi  e il re “galantuomo” Vittorio Emanuele II di Savoia. Come tutte le invenzioni romanzesche si sceglie prima il nome più adatto per le future “locandine”: tra Vairano, Caianiello e Teano (luoghi del circondario) gli “esperti” indicano l’ultimo, più orecchiabile, senza considerare il reale percorso e la sosta dei due stati maggiori. Poi si idea la cronaca, scrivendo di retoriche e roboanti affermazioni dei due personaggi, sorridenti e felici per il bene della nascente Italia. Infine si pagano pittori per immortalare l’incontro secondo l’interpretazione dei committenti: ecco le due figure  baldanzose e serene, ecco il contorno di popolani estasiati, ecco l’atmosfera idilliaca del trapasso dell’antico Regno delle Due Sicilie a provincia del Regno di Piemonte che cambiava il suo nome in Italia! Ben diversamente avviene l’incrocio tra l’avventuriero e l’avido re sabaudo: Garibaldi è esautorato, deluso e disperso con i suoi (pochissimi) volontari. La gran parte dei “mille” è formata infatti da soldati piemontesi che ritrovano i loro veri capi che eseguiranno l’ultimazione della conquista del regno borbonico. Il 26 ottobre di 150 anni fa si consumò presso Teano la consegna di 10 milioni di abitanti ai colonizzatori del nord, con tutti i loro beni, la loro cultura, il loro futuro… E’ sotto gli occhi di tutto cosa è capitato al Sud da quel giorno, con la guerra civile detta brigantaggio che massacrò un milione di personecon il fior fiore della gioventù meridionale, con l’emigrazione successiva che fece perdere al Mezzogiorno milioni di ottime braccia e cervelli, con una costante politica volta all’impoverimento del Sud. Ma ormai i meridionali stanno aprendo gli occhi e, in questo cento cinquantenario dell’unità, sono infinitamente più numerosi quelli che sanno la verità rispetto, ad esempio, al centenario del 1960 in cui solo un’elite si sentiva offesa dalla retorica risorgimentale. Le istituzioni ancora celebrano, con i soldi dei contribuenti anche indigenti, quell’evento con le bugie trite e ritrite per 150 anni ma per esse, come per quelle istituzioni e per quei soldi è incominciato, in nome della verità storica, un imprevedibile countdown.

Il Sanfedista