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Metropoli di Napoli, 27 giugno 2013 – CLII A.O.

 “Il regno di Sicilia è il primo modello dello stato moderno in Europa”. E’ quanto scritto dallo storico svizzero Burckhardt.  Sappiamo tutti che il grande Regno delle Due Sicilie, tanto orgogliosamente e puntualmente indicato dai meridionalisti del XXI secolo,  fu l’apoteosi di quello stato che Ruggero II, il normanno, creò nel 1130 a Palermo in un periodo in cui c’era ovunque la massima frammentazione territoriale, con i confini rimasti praticamente intatti sino al 1861, cioè per quasi 7 secoli e mezzo. Dopo le mancate risposte di tutti i parlamentari eletti a Roma nelle circoscrizioni meridionali alle istanze che il nostro Parlamento delle Due Sicilie ha loro notificato il 23 aprile u.s. e a seguito del dibattito tenuto a Casalduni con altri movimenti e organizzazioni meridionaliste un progetto nuovo e ambizioso si pone sul nostro orizzonte. Lo Statuto Speciale dell’attuale Regione Sicilia è un esempio di grande autonomia in questo mondo sempre più globalizzato che, naturalmente, lo stato italiano ha sempre ridimensionato nelle applicazioni per proseguire indisturbato nella sua politica colonialista e anti-sud. La Carta Costituzionale lo assegna irrevocabilmente alla Sicilia e quindi per risolvere i suoi problemi bisogna soltanto trovare il modo di farlo realizzare effettivamente.

Per arrivare ad una risoluzione occorre partire proprio da quel remoto XII secolo. Il regno che si costituì nell’isola aveva la sua parte più estesa sul continente. Le popolazioni che vivevano nelle due parti separate dallo stretto di Messina avevano in comune già secoli di storia, dalla Magna Grecia all’impero d’oriente e agli Arabi. Però da Palermo per la prima volta si delinea uno stato che va dal Tronto e dal Garigliano al Salento e al Capo Lilibeo. Uno stato rimasto pressoché inalterato per tanti secoli pur accogliendo e superando le diversità sovente emerse tra gli abitanti continentali e insulari. La migliore legislazione in materia di unificazione, com’era stato già intuito da Alfonso d’Aragona nel Quattrocento, è operata nel 1815 da Ferdinando di Borbone che riunisce due distinti regni sotto la sua corona a Napoli, perdendo di conseguenza la sua denominazione di Ferdinando III di Sicilia e IV di Napoli ed assumendo quella inedita di Ferdinando I re delle Due Sicilie. Quindi due regni, due nazionalità, due lingue, due amministrazioni ma con un solo sovrano, una sola bandiera, una sola religione e un solo esercito. Allora il legame tra Siciliani e Napolitani (come tutti i regnicoli al di là del faro si appellavano) divenne più che una parentela, una fratellanza giuridica sotto lo stesso padre. Su questa diversità hanno giocato fin troppo i colonizzatori, soprattutto culturali, del Mezzogiorno d’Italia acuendo in ogni maniera le differenziazioni non soltanto tra isolani e continentali ma addirittura tra questi ultimi, relegando il termine Napoletano (con la “e”) agli abitanti della sola città di Partenope e instaurando una sequela di antinomie, invidie, falsi luoghi comuni con il potentissimo utilizzo dei mass media. Ciò dimostra inequivocabilmente che al di sotto di quel sacro confine del Tronto e del Garigliano si è voluto non solo cancellare la memoria storica ma instillare un sentimento di zizzania al fine di far sempre più allontanare l’isola dalla terra ferma e le sue antiche province le une dalle altre. Scissi dal passato glorioso e separati spesso inconciliabilmente anche tra confinanti (pensiamo alle diatribe tra Palermo e Catania, Lecce e Bari ecc.) gli odierni meridionali sono le continue vittime perdenti di chi gradisce “vincere facile”, non avendo mai saputo fare di più.

            152 anni di malaunità hanno determinato una situazione alquanto cambiata. Quei Siciliani e Napolitani conquistati con l’imbroglio dell’unità italiana, dopo essersi coperti di gloria con il brigantaggio (che al di qua del Faro è stato astutamente celato) , sono divenuti vittime paritarie del malgoverno e della politica ostile senza soluzione di continuità dal Regno alla Repubblica d’Italia (1861-2013). Essere stati massacrati dai bersaglieri, dissanguati dalle tasse sabaude, costretti a un esodo migratorio assolutamente sconosciuto, vessati da tutti i governi come cittadini inferiori, colpevoli e irrecuperabili, ha prodotto una unità nel dolore, stretta e speciale, ufficialmente ignorata. In altre parole, pur dichiarando un’ipocrita par condicio tra gli italiani, lo stato ha costantemente operato al contrario per originare prima ed alimentare poi la famigerata questione meridionale. Ormai non siamo solo affini o fratelli meramente giuridici, siamo invece veri fratelli di sangue. Sangue versato dai soldati al Volturno e a Gaeta, sangue sparso a fiumi dai briganti, sangue preteso nelle guerre sabaude, sangue  sparpagliato in ogni dove con l’emigrazione, sangue perduto nei viaggi della speranza, nei ruoli predisposti della criminalità, nella disperazione degli esuli e dei falliti per colpe altrui.

 

I tempi sono più che maturi per utilizzare a pieno un neologismo che a qualche sprovveduto fa storcere il naso: duosiciliano. Ai tempi d’oro Siciliani e Napolitani non erano Duosiciliani (come dimostrano i documenti) perché non avevano completamente il sangue comune. 152 anni di malaunità ci hanno reso assolutamente uguali e quindi, innovativamente, Duosiciliani.

Questo è stato elaborato da alcuni membri del legittimo parlamento a Casalduni durante il congresso UM del 22-23 giugno. Adesso il passo è stato fatto: se siamo uguali al di qua e al di là del Faro, vogliamo ripartire nell’uguaglianza e nella somiglianza del grande Ruggero che ci unì veramente per la prima volta. La Sicilia ha lo Statuto inattuato ma validissimo. Per poterlo estendere agli altri fratelli del continente, cioè a tutti i duosiciliani, l’idea più agevole è quella di attivarsi, secondo le norme vigenti nazionali e internazionali, per riuscire ad accorparsi alla regione Sicilia. Tutti gli abitanti delle ex province al di là del Faro del regno delle Due Sicilie saranno chiamati a pronunciarsi su tale possibilità. Non si deve assolutamente costituire per tale scopo una macroregione, perché chiederemo di entrare tutti nella esistente regione Sicilia con la sua speciale legislazione prevista dalla costituzione italiana che diventerà temerario non applicare, come avvenuto sinora, per un numero di cittadini pari quasi alla metà degli italiani.

Un tale progetto incontrerà indubbiamente consensi istintivi e quasi unanimi nell’isola. Sul continente bisognerà superare le false e ingannevoli angolazioni del declassamento che si profila spontaneamente. Ma spiegando il percorso completo da realizzare non è importante la prossima tappa. L’assorbimento nella Grande Sicilia sarebbe una tappa che comunque avrebbe due effetti fondamentali. In primo luogo ci semplificherebbe e migliorerebbe enormemente la situazione socio-economica con lo Statuto Siciliano in atto, il che, nella crisi che ci attanaglia, va certamente osannato.  In secondo luogo, sarebbe automatico, realizzando quanto detto, divulgare in maniera esponenziale i necessari  riferimenti storici con conseguente inarrestabile presa di coscienza collettiva con sviluppi prevedibili per i padroni settentrionali che, infatti, l’hanno impedita pervicacemente fino ad oggi.

I Duosiciliani di fatto odierni devono diventare prima Siciliani tutti, per sperimentare la possibilità mai tentata di convivenza civile in Italia; in seguito, se non saremo appagati,  si potrà veramente puntare ad essere Duosiciliani anche di diritto………

Vincenzo Gulì

Pres. Parlamento delle Due Sicilie