Oggi 13 giugno 2025 sono esattamente 226 anni dalla grande vitttoria del popolo napolitano sulla rivoluzione che per la prima volta aveva osato assalire militarmente il Regno delle Due Sicilie. Lo ricordiamo stasera sul Vesuvio in una grande serata dedicata ai Briganti e domani nell’orazione congiunta con i russi per la storica alleanza Napoli-San Pietroburgo.

Locandina evento del 13 al Vesuvio

Note sull’Identitario: https://www.lidentitario.com/2025/06/14/grande-successo-per-la-prima-edizione-del-brigant-fest-sulla-terrazza-due-golfi-storia-identita-e-partecipazione/

 

 

Locandina evento del 14 a Napoli

 

 

Il Canto dei Sanfedisti vittoriosi, la Carmagnola, rappresenta quel fondamentale avvenimento del 1799 che ai settari brucia ancora come se fosse recentissimo, data la persecuzione di Napoli che permane costantemente in questi 226 anni. Dal libro che descrive l’epopea della controrivoluzione (Il ferro e il fuoco del nemico esercito francese) ecco le pagine che spiegano i versi dei lazzari, sanfedisti e insorgenti che abbatterono il fantoccio perfido della repubblica partenopea:

Ecco La Carmagnola, nella sua versione più conosciuta, in lingua napoletana del ‘700:

 

                                     A lu suono de grancascia
viva viva lu populo bascio
A lu suono dei tammurrielli
so’ risurte li puverielli
A lu suono de campane
viva viva li pupulane
A lu suono de viulini
morte alli giacubbine.

Innanzitutto si riconoscono i lazzari che cantano: popolo basso, poverelli, popolani. Il fine dell’inno è gridato a squarciagola: morte ai Giacobini, cioè a collaborazionisti degli invasori.

Sona sona
sona Carmagnola
sona li cunziglia
viva ‘o Rre cu la Famiglia.

(refrain da ripetere)

Il ritornello , ripetuto ad libitum fino allo spossamento, è lo sprone per tutti che inneggia all’amatissima famiglia reale.

A sant’Eremo tanto forte
l’hanno fatto comme ‘a ricotta
A ‘stu curnuto sbrevognato
l’hanno miso ‘a mitria ‘ncapa
Maistà chi t’ha traruto
chistu stommaco chi ha avuto
‘e signure ‘e cavaliere
te vulevano priggiuniere

La breve storia dell’abbattimento della repubblica fantoccio parte dalla conquista del temuto forte di S. Elmo (roccaforte giacobina) divenuto resistente come una ricotta; un accenno al vescovo spretato di Vico Equense  Michele Natale, poi giustiziato; finale sommamente significativo: gli aristocratici, cioè i repressi dalla politica borbonica, avevano progettato di catturare il sovrano per fargli fare la morte di Luigi XVI.

Refrain

Alli tridece di giugno
sant’Antonio gluriuso
‘e signure ‘sti birbante
‘e facettero ‘o mazzo tanto
So’ venute li Francise
aute tasse ‘nce hanno miso
Libertè… Egalitè…
io arrobbo a te
tu arruobbe a me.

Il fatidico 13 giugno, dedicato a S. Antonio, è ricordato come il giorno della vittoria nei confronti, si sottolinea, della classe agiata che aveva subito tradito. Poi tocca ai Francesi: portatori di una caterva di nuovi tributi e, in nome delle ipocrite parole Libertà e Uguaglianza, esempi memorabili di pessima amministrazione che apriranno un’era ancora attualissima…

Refrain

Li Francise so’ arrivate
‘nce hanno bbuono carusate
evvualà evvualà
cavece ‘nculo alla libertà
Addò è gghiuta ‘onna Eleonora
c’abballava ‘ncoppa ‘o teatro
mò abballa miez’ ‘o mercato
‘nzieme cu mastu Donato.

Ancora irrisione (evvualà per il noto intercalare voilà)  dei Francesi: sono venuti a fare grassazione dei Napoletani dimostrando di non rispettare la parole libertà che riempie la loro bocca; si passa poi ai cosiddetti “martiri” della repubblica partenopea come Eleonora Pimentel Fonseca, attricetta al tempo dei Borbone  (con madrigali di piaggeria per i reali) trasformata in pendaglio da forca con il boia più noto di Napoli, Mastro Donato. L’ironia è pesantissima, come l’odio verso una delle ideologhe dei giacobini,  con il paragone tra il ballo sul palcoscenico e quello sul patibolo…

Refrain

A lu ponte ‘a Maddalena
‘onna Luisa è asciuta prena
e tre miedece che banno
nun la ponno fa sgravà
A lu muolo senza guerra
se tiraje l’albero ‘nterra
afferraino ‘e giacubbine
‘e facettero ‘na mappina.

Spetta ora a Luisa Sanfelice, famigerata per aver fatto condannare lealisti innocenti accusati nei suoi frequenti incontri di talamo con funzionari repubblicani e giustiziata dopo una lunga attesa per il pretesto di rinvio del supplizio a causa di una sua presunta maternità (aveva già cinquanta anni!) che vari medici alla fine sconfessarono. Si accenna ancora agli eventi bellici della liberazione con l’abbattimento dell’insulso albero della libertà al Molo dopo aver sgominato i giacobini (ovviamente la lingua italiana non rende la magnifica immagine di quella napoletana).

Refrain

Passaie lu mese chiuvuso
lu ventuso e l’addiruso
a lu mese ca se mete
hanno avuto l’aglio arrete
Viva tata maccarone
ca rispetta la religgione
Giacubbine iate a mare
ch’ v’abbrucia lu panare.


Infine qualche frizzo al calendario giacobino (che aveva abolito la settimana con la decade e il nome dei mesi) dal mese piovoso (gennaio)  a quello ventoso (febbraio) e da quello frimale (marzo, con quel termine prettamente napoletano) a quello messidoro (giugno) in cui l’arguzia è massima per il triste epilogo dei giacobini descritto in una maniera forse scurrile ma veracemente napoletana. C’è poi quel bel complimento a Ferdinando IV (affettuosamente definito come la parola più familiare e l’alimento più gradito) rispettato proprio per il suo timor di Dio dopo l’inferno scatenato dagli atei rivoluzionari.

Una delle versioni sul web del canto dei sanfedisti: