Onorato di essere stato invitato dagli organizzatori per schierarmi dalla parte dei Borbone, cioè del popolo molisano!

locandina dell’evento

La reazione di Isernia del 1860

 

Con il regno invaso dai barbari al seguito del mercenario Garibaldi, solo il nord resisteva compatto alla fine del settembre 1860. Con il cuore rivolto a Gaeta dove S. M. Siciliana difendeva i sacrosanti diritti delle Due Sicilie, le popolazioni tra l’Alta Terra di Lavoro, il Molise e gli Abruzzi erano in fermento alla mercé degli stranieri e dei loro manutengoli che avevano preso violentemente il potere.  Bastava una notizia, sovente infondata, su manovre e vicinanza dei Regi a scatenare il sentimento patriottico dei nipoti dei sanfedisti e dei briganti.

Quando il col. de Liguori, che comanda un reparto di Gendarmi reali a Venafro, manda messaggi di solidarietà ai regnicoli, a Isernia e nel suo distretto la gente ha in mente solo il ritorno del legittimo re Francesco.

Domenica 30 settembre l’intendente liberale Venditti fa provocatoriamente sfilare la Guardia Nazionale, formata come è notorio dai nuovi “servi della gleba”, per la città per intimidire i civili. Le diserzioni nella   milizia rivoluzionaria già sono indicative di quanto sta per succedere. I signorotti locali badano a premunirsi con il precettare altri “volontari” che non potevano rifiutarsi. A sera una folla di isernini, stanchi del regime garibaldesco, si raduna sotto il palazzo de Lellis chiedendo vanamente aiuti al barone, beneficato da re Ferdinando. Il presidio garibaldino, comandato dal magg. Ghirelli, è all’erta perché maggiormente preoccupato rispetto agli ascari locali, troppo offuscati dai fumi tricolori.

Il vecchio vescovo Saladino è il punto di riferimento dell’imminente insurrezione per la sua devozione borbonica. Da lui è mandato un messo a Venafro per sollecitare soccorsi regi.

Nella notte la popolazione scende in piazza decisa a vendicarsi dei soprusi dei liberali in quelle prime settimane della dittatura di Garibaldi. Il palazzo di Venditti è assediato ma l’intervento dei garibaldini riesce a far fuggire l’intendente nella più sicura Bojano. I contestatori si rivolgono allora al vicino palazzo De Baggis che subisce danni personali e materiali. L’intera nottata è teatro di una vera e propria caccia al liberale.  L’alba del 1°ottobre vede una città liberata con gli invisi tricolorati scappati o nascosti.

Un piccolo drappello di Gendarmi finalmente giunge il 4 proprio mentre da Campobasso un intero reggimento di garibaldini è in marcia per riconquistare la città. Essendo impossibile contrapporsi, gli insorti si ritirano esponendo Isernia alla rappresaglia dei rossi, soprattutto dei mercenari albanesi che irrompono nel Vescovado per castigare Saladino. Lo trovano in preghiera davanti all’altare e lo malmenano, nonostante la sua tarda età, senza pietà. Sarebbe certamente morto se non fosse intervenuto qualche loro complice isernino a fermali. La notte i tricolorati sfogano la loro rabbia sugli inermi saccheggiando case con violenze d’ogni tipo sugli abitanti.

Il 5 finalmente si individuano reparti regi in arrivo inviati dal gen. Marulli. Come costume, i caporioni liberali se la danno a gambe levate con i loro scagnozzi. Restano i garibaldini a cui è impedita ogni via di fuga dai soldati che entrano a sorpresa in città dal lato nord. Quelli che sono arrestati dai militari sono i più fortunati perché gli altri che si disperdono avanti all’avanzare della truppa subiscono la caccia spietata dei civili. La rivalsa popolare sfocia in un rabbioso contro-saccheggio delle case dei liberali traditori della patria.

A metà mese i soldati borbonici hanno troppo presto l’ordine  di ripiegamento dopo le vicende della battaglia del Volturno partendo per Teano. Il fellone Jadopi subito avverte il comando invasore per il ripristino della dittatura chiedendo espressamente l’intervento del col. bergamasco Francesco Nullo, con la fama di eroe di tante battaglie garibaldine. Un battaglione di rossi al suo comando si avvicina da Campobasso, seguito dalla consueta teppaglia “volontaria” ma si ferma prudentemente sotto il Matese. In effetti resta in attesa di riunirsi ad altre due colonne in arrivo da Maddaloni e Castel di Sangro.

A Isernia c’erano solo un migliaio di gendarmi con de Liguori e la popolazione in armi di fortuna. Con ottima mossa tattica il 17 de Liguori fa una sortita contro Nullo che sta tra Pettoranello e Castelpetroso e che si ritira con il grosso. L’indomani, con la sollevazione di tutti i contadini della zona, i Gendarmi riattaccano la colonna garibaldina con un furore tale da sgominarla e massacrarla. A Carpinone sono addirittura le donne in retrovia a ucciderne un intero drappello. Pochi si salvano, con Nullo, infrattati nei boschi. La disfatta garibaldina avrà una forte eco nel tempo e Abba nelle sue memorie parlerà di spirito selvaggio e crudele dei Sanniti, omettendo ovviamente le barbarie dei suoi esaltati. Il tutto fu reso possibile grazie all’appoggio della popolazione di Terra di Lavoro che aveva bloccato i rinforzi con il perfido De Marco da Maddaloni e ai legittimisti, già combattenti organizzati nell’Abruzzo Ultra, che avevano impedito l’uscita da Castel di Sangro di altri garibaldini.

Ma tutto stava purtroppo precipitando. Cialdini con i Piemontesi era in procinto di entrare ad Isernia. Lo farà il 20 ordinando una feroce ritorsione sui civili. Tutta la popolazione delle Due Sicilie, invase dalla cupidigia massonica spacciata per unità d’Italia, sta per insorgere dal Tronto al capo Lilibeo per scrivere da “briganti” le pagine più gloriose della nostra vera storia.

Vincenzo Gulì

 

Note sulla serata

In un’atmosfera di commozione per l’ora in cui scoppiò la reazione 158 anni prima, si è tenuto nel Palazzo S. Francesco l’incontro culturale che, a detta dei locali, non era mai stato effettuato sull’argomento. evidentemente ancora scottante. La presenza, anche tra i relatori, di discendenti di quanti furono “vittime” della furia dei “cafoni” e la notizia di una targa commemorativa posto in mattinata sulla tomba del n. 1 dei traditori delle Due Sicilie, Stefano Jadopi può ben far intendere il timore reverenziale verso la falsa storia, pur ripudiata a parole, che ha regolato la serata. La voce senza condizionamenti del prof. Gulì è stata una bomba che produrrà certamente effetti ritardati su quelli che amano sinceramente la propria terra e il popolo minuto, artefice superbo di quelle giornate.