scugn+macc

 

La malaunità italiana ha trasformato profondamente in peggio Napoli e tutto quello che la riguardava. I cambiamenti sono stati talmente rapidi, perfidi e perentori che ai posteri coloni è stato man mano sempre meno possibile individuare cause ed effetti dei piccoli come dei grandi problemi, a cominciare dalla famigerata questione meridionale. Basti pensare al termine “napoletano” che ha soppiantato quello di “napolitano” , prima adoperato per indicare tutti gli abitanti peninsulari della nazione duosiciliana e poi relegato agli abitanti della sola ex capitale, quale qualsiasi città periferica del regno d’Italia. Ancora all’appellativo dell’ultimo sovrano borbonico Francesco II detto dopo l’usurpazione “franceschiello” in tono chiaramente spregiativo. Quanti hanno avuto chiara la storia di queste parole? Quanti si sono resi conto che “napoletano” (usato prima senza attenzione con la i o la e) serviva a dividere permanentemente  quelli di Napoli dall’altra parte del Meridione? Quanti hanno creduto alla vox populi riferita a “franceschiello” sulla base della sua incapacità a fare il re?

Il periodo postunitario è stato pieno di battaglie culturali impari e terribili che hanno letteralmente modificato Napoli e i suoi abitanti. Tra le rovine conseguenti ci siamo un po’ tutti persuasi di: essere napoletani solo per i nati in città; aver avuto un ultimo sovrano inesperto e pavido; in generale di rappresentare una parte d’Italia bacata da problemi atavici pressoché insuperabili. Quindi ogni nuovo tassello aggiunto a questo mosaico di menzogne italiane è stato assorbito per abitudine senza alcuna reazione. E’ il caso che affrontiamo adesso della parola “scugnizzo”.

Un ragazzo napoletano, furbo e poco rispettoso delle regole, è l’incarnazione di questo termine. Costui ispira anche simpatia tra i concittadini e curiosità tra gli altri ma costituisce inequivocabilmente l’immagine di una categoria incapace di vivere civilmente come gli altri italiani, con le automatiche conseguenze spiacevoli. Quanti corsi di educazione alla legalità hanno propinato a Napoli e dintorni? L’opinione comune considera lo scugnizzo un prodotto spontaneo di queste terra che va tollerato come la fauna caratteristica australiana, da osservare con il sorrisino ma sempre con estrema cautela e superiorità. Finchè non procura danni evidenti, diverte e commuove in maniera che l’epiteto è affibbiato allegramente a ogni adolescente pieno di brio e di genialità.

Se fosse stato sempre così, se questa parola avesse avuto origine antica , magari con la solita matrice latina o greca, non vi sarebbe niente di strano. Ma lo strano è che essa è stata coniata dopo l’invasione tosco-padana spacciata per unificazione italiana. Da quelle parti esisteva il termine “gugnìn” , nato in Lombardia ma usato in Piemonte, che indicava un piccolo maiale irrequieto e che veniva adoperato per specificare un ragazzo turbolento e scostumato. Il clima poliziesco dei conquistatori (che parlavano un linguaggio astruso per i nostri antenati) trasferì “gugnìn” da noi in occasione di atti di indisciplina che i giovani partenopei commettevano. Sentendosi chiamati così costantemente, in tono chiaramente negativo, dagli stranieri anche i nativi cominciarono a utilizzare il vocabolo storpiandolo un po’: così nacque scugnizzo. Esso è pertanto l’offesa ai ragazzi di Napoli per la loro penuria di senso civico. La sindrome di Stoccolma che ci pervade ha fatto il resto, proprio come “franceschiello”. E’ mancata quindi la forza non solo di ricercare l’etimologia e rifiutare questa ulteriore onta ma persino la voglia di farlo “perché tanto a che serve?”

Nella rinascita identitaria dell’ultimo quarto di secolo, il ripristino della verità storica in tutti i campi è fondamentale per la nostra salvezza. Non è più tempo di scetticismo e rassegnazione a nessun livello, Mai più accettare epiteti per Francesco II; né perdere la napolitanità che unisce nell’inconscio collettivo gli odierni meridionali peninsulari; tanto meno accogliere la locuzione scugnizzo addirittura con orgoglio!

I primi scugnizzi di fine Ottocento furono strumentalizzati per un’operazione ignobile: fotografati per i vicoli della lontana provincia di Napoli (ossia i decumani della grandissima capitale) mentre mangiavano con le mani i famosi maccheroni. Lo fecero alcuni ragazzi per qualche centesimo di quella sconosciuta moneta detta lira, mancia promessa da chi aveva ingaggiato il fotografo per denigrare Napoli, i suoi abitanti e addirittura il re Ferdinando IV. Si sa che la moderna forchetta fu inventata sotto il suo regno nel Settecento, eppure siamo diventati dappertutto quelli che la ignoravano ancora nel Novecento usando le mani per mangiare “come addirittura faceva il sovrano”!!! Si ripete un po’ il fatto del celebre bidet sconosciuto ai tosco-padani che ai giorni nostri ci offendono come “vunciuni” cioè sporchi perché abituati a non lavarsi bene…

La prima foto della decaduta Napoli con i suoi giovani virgulti detti scugnizzi che si alimentavano con le dita fece il giro del mondo e fu l’unica immagine impressa nella mente di quelli che avevano solo sentito parlare vagamente di quella nazione al centro del Mediterraneo, che fu subito tacciata di arretratezza. Per i meno scaltri una foto è una prova rispetto alle dicerie di una fiorente civiltà nata da quelle parti. Gradualmente la verità divenne quella della foto, come le altre cose negative che ci hanno scaraventato addosso in 154 anni di schiavitù.

Tornando alla sindrome di Stoccolma, il lettore medio si sentirà certamente immune, come tutti quelli che la subiscono. L’analisi per rintracciare la sua esistenza virale sarà la reazione alla scoperta che scugnizzo è una locuzione deleteria per noi. Letteratura, canzoni e tradizione italiane ce l’hanno quasi fatta amare familiarmente, come rigettarla tutto d’un colpo? Bisogna curare le malattie, soprattutto quelle psico-somatiche, per evitare aggravamenti ed effetti collaterali. Se ci vogliamo liberare dalle catene tricolori dobbiamo curare anche il nostro modo di parlare. L’ideale sarebbe rispolverare subito il Napolitano e il Siciliano che sono le prime lingue volgari italiche staccatesi dal latino, alla faccia del fiorentino vincente per invidiosa sopraffazione. Ciò richiederebbe troppo tempo. Cominciamo allora dalle parole della lingua attuale ricusando quelle che ci ledono, come scugnizzo.

Facciamolo subito, facciamolo sempre, invitiamo a farlo in ogni circostanza. Soprattutto non ci facciamo assalire da quella sindrome che, ad esempio, sta bloccando caparbiamente un altro imbroglio lessicologico di più recente formazione. La squadra di calcio del Napoli, sorse nel 1926 con l’emblema del cavallo da sempre simbolo della capitale e poi di tutta la sua zona di competenza; poi qualche buontempone lo chiamò “ciuccio” per i risultati deludenti iniziali e da lì sempre asino come emblema anche dei tempi d’oro di Maradona. E’ di un’ovvietà mastodontica il senso spregiativo di far diventare un cavallo un asino; è di un’ottusità frustrante opporsi al ritorno del vero simbolo dell’amatissima squadra partenopea. Eppure la maggioranza “si sente affezionata” al “ciucciariello” proprio come lo è alla parola scugnizzo. Evidentemente non è facile cominciare ad allentare le catene dopo un secolo e mezzo di cattività ma è la strada necessaria per poterle spezzare. Pensiamoci ed agiamo di conseguenza.

Vincenzo Gulì