pontegarig

Questo ponte del 1832 rappresenta uno dei primati continentali del Regno delle Due Sicilie, ossia una di quelle eccellenze tecnico-economico-sociali che lo stato borbonico seppe esprimere grazie alla modernità e alla ricchezza delle sue strutture in ogni campo, in stridente contraddizione con i falsi luoghi comuni che ancora lo perseguitano.

Carminantonio Lippi, del Principato Citra studioso di mineralogia e vulcanologia, da giovane era stato inviato dalla regina Maria Carolina, consorte di Ferdinando IV, con altri compagni per una missione esplorativa delle più moderne realizzazioni industriali nei più avanzati paesi europei dall’Inghilterra all’Impero asburgico. Non fu pertanto casuale il suo progetto del 1817 di costruzione di un ponte sospeso in ferro sul fiume Garigliano nel nord del regno. il Direttore Nazionale del Regio Corpo delle strade e dei ponti, Carlo Afan de Rivera, incaricato ufficialmente di studiare la fattibilità dell’opera pubblica di avanzata ingegneria, inviò prontamente uno dei suoi migliori tecnici, il lucano Luigi Giura, ispettore del Corpo, in un altro viaggio di osservazione per relazionare sui ponti in ferro esistenti nel mondo. Dalle risultanze, piene di notevoli modifiche e geniali perfezionamenti, il de Rivera si persuase dell’enorme importanza economica, politica e sociale dell’ardita opera che avrebbe confermato le Due Sicilie tra le prime potenze industriali del tempo.

Francesco I nel febbraio 1828 conferì la commissione dei lavori all’ingegnere Giura che due mesi dopo consegnava i dettagli del suo progetto che veniva tosto approvato e finanziato dalla Direzione Nazionale delle strade e dei ponti ed esibito al Re che comandò l’avvio immediato delle gare di appalto che dovevano essere rigorosamente limitate a ditte e materiali del regno delle Due Sicilie com’era costume, nonostante le tenaci opposizioni incontrate, dovute soprattutto alle clamorose innovazioni previste. I lavori iniziarono il 20 maggio dello stesso anno, solo tre mesi dopo la presentazione del piano industriale. Questa era l’efficienza dello stato borbonico tanto denigrato dagli ignoranti in materia!

Comincia la sostituzione della fragile scafa sul fiume gettando le basi del maestoso ponte in ferro dopo che erano state visionate simili costruzioni in Scozia, Inghilterra e Francia. In effetti, l’ispirazione partì dal ponte del 1820 sul Tweed, tra Scozia e Inghilterra, e si focalizzò poi su quello sul Menai tra l’isola di Anglesey e la terraferma del Galles del 1826, vero ponte sospeso con tiranti metallici. Vari altri ponti in ferro già esistevano come in Francia il Pont des Invalides” di Parigi ma tutti presentavano grossi problemi di stabilità e sicurezza, il migliore quello sul Menai. La soluzione risiedeva nei tiranti per qualità e dimensione. La precisione degli ingegneri duosiciliani e l’ottimo tipo di acciaio prodotto a Mongiana, fiore all’occhiello dell’industria siderurgica borbonica, consentirono l’esecuzione prodigiosa del ponte ultimato già nel 1832. Durante la costruzione diverse complicazioni erano capitate sia in Francia sia in Inghilterra per la poca affidabilità dei ponti in ferro e il giornale inglese The Illustrated London News espresse perplessità sulle capacità progettuali e costruttive dei napolitani e le sue ipocrite preoccupazioni addirittura per la sorte dei poveri sudditi che avrebbero attraversato il ponte. Si aprì un dibattito serrato e si narra che fu proprio il re in persona Ferdinando II a difendere Giura invitandolo a completare l’opera a carico dello stato con la fraseLassate fa ‘o guaglione”, cioè permettete al giovane ingegnere di proseguire i lavori. E ‘o guaglione fece un ponte addirittura più bello di come appariva nei disegni: slanciato, leggero, resistente, stabile, sicuro e attesissimo dagli utenti in una zona di fiorentissimo commercio.

Ma l’invidia inglese non si assopì e rilanciò la campagna sulla stampa contro il ponte borbonico prevedendo sciagure come quelle accadute altrove, specie nelle isole britanniche, a causa dell’eccessiva flessibilità della lega metallica utilizzata allora che li rendeva oscillanti ai grossi pesi e al forte vento. Sul Garigliano invece gli accorgimenti studiati conferivano a Giura tranquillità. Le esperienze in materia durante le visite nelle varie città europee l’avevano portato a dare massima importanza ai metalli da utilizzare; se la forma della struttura era solo il frutto di una lunga serie di equazioni matematiche, la limitazione dell’eccessiva elasticità del ferro era stato un grosso problema risolto a Napoli, nello stabilimento militare situato presso il ponte della Maddalena, insieme agli ufficiali del Genio Navale. L’ordinativo alle prestigiose fonderie calabresi di Mongiana di maglie metalliche fortemente nichelate, le sottopose a uno speciale stiramento mediante un’apposita macchina ad “astatesa” progettata dallo stesso Giura. Ogni maglia ed ogni barra di ferro con questo trattamento cedeva l’80% della sua elasticità acquisendo una “rigidità forzata” cioè una conformazione molecolare soggetta più a frattura che a flessione, assicurando all’intera struttura una resistenza da nessun altro prima escogitata.

L’opera fu completata il 30 aprile 1832 con grande risalto mediatico e per ulteriore scrupolo l’ingegnere napolitano decise di attendere qualche giorno per il rassodamento perfetto dei materiali. Ogni giorno da Londra erano pubblicati commenti acidi e catastrofici fino ad affermare che il collaudo non avveniva per paura dell’imminente crollo della struttura, dando degli sprovveduti ai duosiciliani. Il ritardo di appena 10 giorni era stato invece una scelta oculata del costruttore che il 10 maggio comunicò al sovrano che era possibile la solenne inaugurazione.

Il bellissimo ponte era lungo m. 80.40, largo m. 5.50, con colonne sulle rive alte m. 7.00 e diametro di m. 2,50. Era costato appena 75 mila ducati a carico dell’erario, che oggi approssimativamente ammonterebbero a 1,5 milioni di euro. Cifra improponibile per una tale opera pubblica odierna!

Ferdinando II fece le cose alla grande anche per reagire alle continue provocazioni inglesi. Autorità civili, militari, ecclesiastiche compreso l’intero corpo diplomatico assisteva lungo le rive alla cerimonia. Il Re si presentò di persona davanti al ponte seguito da due squadroni di lancieri a cavallo e 16 cannoni di artiglieria con relativo carriaggio. Raggiunse il centro del ponte ed ordinò agli squadroni di passare più volte sul ponte: al trotto, poi al galoppo ed infine alla carica; poi passarono i carri e le truppe causando le sollecitazioni maggiori che diedero un eccellente collaudo all’opera. Ferdinando fece alla fine gesti scaramantici assai apprezzati contro gli iettatori d’oltre Manica. Il vescovo di Gaeta benedì la costruzione con il popolo in processione e poi si aprirono i festeggiamenti con fuochi d’artificio, canti e balli. Immaginabile il livore e lo scorno dell’ambasciatore inglese.

Successivamente fu commissionato un altro ponte sospeso a maglie di ferro sul fiume Calore in Terra di Lavoro, presso Solopaca, ultimato nel 1835 ed intitolato alla defunta regina Maria Cristina, oggi assurta agli onori dell’altare.

Nella tragedia risorgimentale il Ponte Real Ferdinando fu teatro di due cruenti scontri in cui caddero da eroi, con i loro soldati, due ufficiali borbonici. E’ la famosa battaglia del Garigliano che dura dal 25 ottobre al 2 novembre 1860. L’esercito borbonico ripiegava su Gaeta e gli invasori piemontesi cercarono di assalirlo alle spalle. Il 29 ottobre trovarono sul ponte le truppe del generale di Brigata Matteo Negri, palermitano, che li fermò ma fu ferito a morte da una granata. Nella notte del 2 novembre, la situazione si aggravò per il tradimento della flotta francese che diede via libera al bombardamento da mare mentre avveniva un nuovo attacco da terra sul ponte. Lì c’erano due ultime compagnie di Cacciatori guidate dal capitano abruzzese Domenico Bozzelli che si immolò con tutti i suoi uomini permettendo così alle ultime truppe regie di mettersi in salvo.

Durante l’ultimo conflitto mondiale il ponte sul Garigliano fu distrutto dai tedeschi in fuga senza danni irreparabili tanto è vero che attualmente è stato riattato ed possibile visitarlo per farsi un’idea della grandezza del Regno delle Due Sicilie. Le menzogne sparse ad arte contro di esso sono smentite proprio da queste opere che sfidano il tempo e spronano alla riflessione.

Vincenzo Gulì