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Programma Messina 2015

 

Sabato 14 marzo

h. 17                omaggio alla statua di Ferdinando II sul lungomare

h.17.30            visita al museo e all’antica cappella reale di San Giovanni in Malta con interventi delle associazioni partecipanti e presentazione del libro “Rinascita di una Nazione” a cura dell’autore G. Maduli e del presidente del P2S Vincenzo Gulì

h.20.30            cena comunitaria

Domenica 15 marzo

h. 10                Messa per i caduti duosiciliani nella chiesa di San Giuseppe di Palazzo

h. 11.30           Visita alla Real Cittadella e deposizione di fiori alla lapide per gli eroici difensori del 1861

 
Dal saccheggio del Sud di Vincenzo Gulì le pagine sull’assedio:
 
 Iniziato l’assedio di Gaeta, agli esordi del novembre ’60, a Messina (che quando i garibaldeschi avevano varcato lo stretto invadendo il continente era stata giudicata imprendibile) vien data la possibilità ai 5000 uomini del presidio di lasciare il servizio dati gli intendimenti dello stato maggiore napoletano che solo attorno al Re vuole concretizzare una resistenza meramente dimostrativa.
Il gen.brig.Fergola, che comanda il forte, ha un cuore patriottico perfettamente corrispondente a quello dei suoi uomini. Fieramente si decide di restare a combattere e, per l’annunziata sospensione delle paghe dato il momento cruciale dello stato, non soltanto non si protesta ma addirittura si realizza una colletta privata per acquistare i necessari rifornimenti atti alla resistenza al nemico. Tuttavia è soltanto l’ardimento dei Regi borbonici a costituire un ostacolo difficile per gli invasori per l’armamento limitatissimo e vetusto della fortezza. A dicembre i Piemontesi sostituiscono i rossi alla guardia del presidio napoletano ed è vero assedio quando da Gaeta arrivano gli ultimi aiuti materiali ma anche  l’ingombro di un gruppo numeroso di familiari di soldati. Infatti contravvenendo al capitolato di armistizio tra garibaldeschi e Napoletani si nega l’apertura sul mare del forte, col suo blocco completo. Le vicende belliche di Messina non offrono avvenimenti di risalto sino a febbraio ’61 quando, per l’imminenza della resa di Gaeta, il ten.col.Guillamat lascia l’ormai inutile roccaforte all’estremo nord del Regno e, con tutta la sua esperienza nell’artiglieria, riesce ad entrare nella cittadella sicula lavorando subito alacremente per l’approntamento di migliori batterie di difesa. Caduta Gaeta, dopo ben sette lunghi mesi di isolamento, Messina sente che è il momento della sua prova. Fergola ripropone ai presenti tutta la drammaticità della situazione del forte riuscendo a far emergere le perplessità di alcuni difensori non del tutto adamantini che sono allontanati nell’ora della verità; poi si chiede vanamente al Re il permesso di liberarsi dei civili e degli infermi per la dura lotta che si prefigura.
Alla fine di febbraio giunge personalmente il gen.Cialdini con grande spiegamento di forze. Il comandante sabaudo adopera incivili minacce terroristiche contro i difensori che, ancora una volta, per il loro accanimento smentiscono clamorosamente il truffaldino plebiscito che pure in Sicilia aveva dato una patina, assolutamente inconsistente, di legalità parlando in nome del popolo assente. Così i Borbonici sono intimiditi con la aperta promessa di fucilazioni in massa dopo la forzata resa che, se fosse addivenuta dopo l’uso dei cannoni contro l’abitato di fronte al forte ove stazionavano gli invasori, li avrebbe esposti alla vendetta del popolo!
L’8 marzo con cannoni capaci di una gittata nettamente inferiore a quelli degli assedianti e meticolosamente diretti verso possibili obiettivi  militari salvaguardando le case, la fortezza di Messina apre il fuoco a volontà contro i Piemontesi vomitando direttamente proiettili di scarsa incisività ma indirettamente tutto l’immenso ed inestinguibile odio contro lo straniero invasore! Dopo quattro giorni di impari ed infruttuoso duello di artiglieria con danni  praticamente solo per gli assediati, Fergola è costretto ad arrendersi, dopo aver tentato un’estrema carta col lanciare i suoi soldati più audaci in una sortita decisamente respinta, sotto l’infuriare di un incontrastabile bombardamento a tappeto sardo.
Entrando nella cittadella Cialdini proferisce novelle minacce facendo arrestare immediatamente gli ufficiali rei di aver difeso l’onore della loro Patria. Ripetendo la possibilità dei Savoiardi di passarli per le armi, il duce vittorioso li fa schernire dal popolo prezzolato per dare una parvenza di appoggio locale al suo operato. Per il diretto intervento del Re, una nave francese riesce ad ottenere la liberazione dei prigionieri che, in totale mestizia, sono imbarcati con destinazione l’esilio romano. Quel 13 marzo 1861 viene ammainata la bandiera borbonica in Sicilia spesso vituperata dal popolo siculo ma punto di riferimento del minimo grado di oppressione dei continentali che, provenienti stavolta dal lontano nord dell’Italia, faranno assaggiare  sempre più compiutamente le doglie della schiavitù irreversibile, spingendo quasi tutti (compresi gli antichi detrattori dei Borbone) a rimpiangere il governo napoletano!