Il pressante dibattito in corso tra aule parlamentari, direzioni dei partiti, mass media e gente comune sul federalismo abbisogna di qualsiasi tentativo per spiegare come stanno realmente le cose. In effetti, l’argomento è sviluppato secondo l’angolazione degli interessati in maniera direttamente proporzionale alla loro importanza e quindi al corrispondente spazio a disposizione. I veri meridionalisti contano poco ed hanno ben poco spazio a disposizione…

Incominciamo dalla stessa genesi federalistica che appartiene alla Lega Nord. Siamo personalmente persuasi che la paventata secessione leghista degli anni Ottanta non era altro che una boutade per puntare surrettiziamente proprio all’attuale federalismo. Infatti, una nazione che si scinde crea una serie di problemi di coscienza non trascurabili in tutte le sue componenti. E’ il cambio drastico della forma a suggestionare ogni ceto sociale mediante l’evocazione della passata storia comune, dei rapporti personali e di parentela, dei ricordi di qualsiasi genere impressi indelebilmente nella memoria. Si viene assaliti da una sorta di rimpianto per la perduta unità che soltanto drammatiche situazioni di transizione riescono a tollerare. E’ il caso dei paesi dell’ex Jugoslavia in cui ragioni di razza, religione, politica contribuiscono a dare la forza necessaria per riprendere autonomamente il cammino: per ogni cosa persa si cerca e si trova una cosa nuova da sviluppare. Senza il trauma della separazione cruenta, purtroppo vissuto da quei paesi slavi, è difficile odiare la vecchia bandiera e tutto ciò che essa rappresentava nel bene e nel male. Naturalmente in questo modo i cambiamenti economici seguono quelli politici che sono certamente prevalenti; mentre i cambiamenti culturali generano una specie di valvola di sicurezza per il nuovo stato che darà forza e determinazione in tutte le successive scelte nazionali. In altre parole, i neonati cittadini potranno agevolmente trovare serie motivazioni per difendersi dai rigurgiti egemonici dei residui dello stato unitario precedente che si manifestano soprattutto in campo economico. Andate a parlare di prodotti serbi ai croati o ai bosniaci, o di prodotti inglesi agli irlandesi!

Nel proposto federalismo la separazione non è plateale, né violenta: quindi poche suggestioni scuotono i benpensanti. La bandiera è sempre il tricolore (massonico) ed i legami interpersonali sono salvaguardati dalla persistenza della lingua (imposta dai mass media), delle tradizioni (recenti), dalle chiacchiere dei politici che battono il tasto della continuità della fratellanza.

Quel che cambia nettamente è in campo economico in cui ormai tutti sanno che le macroregioni dovranno utilizzare le risorse locali con un ridimensionamento considerevole della centralità statale che ha connotato per 150 anni l’Italia. La strategia antisud è nitidissima: all’inizio dello stato unitario c’erano più risorse al di sotto del Garigliano e la centralità garantiva la loro transizione verso nord, adesso la situazione è antitetica e la centralità permetteva la loro discesa verso sud, suscitando le ire dei leghisti. E’ sintomatico il fatto che nei primi anni del Novecento Luigi Sturzo propose invano, per lenire i problemi meridionali, il federalismo che oggi si sta attuando; allora era immaturo il tempo date le risorse ancora apprezzabili possedute (anche grazie all’emigrazione forzata)  nel Mezzogiorno!

Avendo ormai il Sud il minimo delle risorse disponibili, è ben maturo il tempo per renderlo economicamente autonomo. Faccia da sé senza sperare più nei consistenti trasferimenti centralistici!

 

V.G.